ROMA – Si chiama “Operazione Aquila” il piano messo in piedi dal Ministero della Difesa e dalla Farnesina per riportare in Italia le decine di traduttori (e le loro famiglie) che in quasi 20 anni hanno collaborato con i militari e con l’ambasciata italiana in Afghanistan. Quel piano adesso è in seria difficoltà, e presto potrebbe essere perfino impossibile portarlo a compimento. Con i talebani che avanzano velocemente in tutto il Paese, presto l’Aquila potrebbe non riuscire a volare: il piano dovrà essere rivisto se non cancellato. Con una aggravante: è a serio rischio anche la sicurezza dell’ambasciata d’Italia a Kabul. L’ambasciatore Vittorio Sandalli naturalmente è rimasto in ambasciata, in una situazione delicatissima. La Farnesina e la Difesa studiano due opzioni. La prima è un’evacuazione ordinata, ancora in condizioni di sicurezza decenti. La seconda è un’evacuazione con i talebani che dilagano per le strade di Kabul, con combattimenti che i tentativi di negoziato politico in corso non sono riusciti a frenare.
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In queste ore gli Stati Uniti e molti altri Paesi Nato hanno inviato nuovamente a Kabul alcune centinaia di soldati per proteggere proprio le ambasciate e i diplomatici che si preparano a lasciare la città. E questo potrebbe creare una cornice di sicurezza per l’ambasciata d’Italia e anche per tenere in vita il piano Aquila. Gli afgani da “esfiltrare” sono traduttori, specialisti, autisti impiegati soprattutto dall’Esercito nella regione di Herat, il capoluogo dell’area affidata fino a giugno al contingente italiano. Il ponte aereo di fatto da ieri è bloccato perché con Herat e il suo aeroporto nelle mani dei talebani sarà impossibile far partire i voli di trasferimento per Kabul dove gli afgani dovevano essere radunati e scrutinati dal personale della Difesa italiana e del Ministero degli Esteri.
La Difesa in queste settimane ha individuato il personale da trasferire in Italia, a fronte di centinaia e centinaia di domande di afgani terrorizzati dall’arrivo dei talebani che provano di tutto pur di avere un visto in un Paese occidentale. A Herat e Kabul militari italiani dovevano individuare i traduttori, raccogliere le domande e i loro documenti, trasferirli a Kabul dove l’ambasciata avrebbe provveduto ai visti e ai documenti di viaggio per i tantissimi che non hanno i passaporti. Ma l’operazione è delicatissima: “Ogni afgano magari si presenta con 2 o 3 mogli, con una decina di figli, con genitori e altri parenti… chi ci dice chi sono queste persone? Come siamo sicuri di chi facciamo entrare in Italia?”, dice una fonte del governo.
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Le verifiche di sicurezza vengono svolte dal Ministero dell’Interno, che inserisce gli ex collaboratori afghani nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Ma per far funzionare i controlli è necessario che i funzionari dell’Aise ancora presenti in Afghanistan possano collaborare con i colleghi del governo afgano. Che al momento sembrano impegnati a difendersi dai talebani oppure a capire quando sarà il momento di mollare tutto e fuggire.
Ieri il segretario generale della Farnesina Ettore Sequi ha detto che per quanto possibile l’operazione Aquila andrà avanti: “Ci sono molti civili afgani che avendo collaborato con gli stranieri sono oggi preoccupati per il loro futuro, per questo insieme ad altri partner ci stiamo muovendo, già 228 afgani e le loro famiglie, che hanno già collaborato con noi sono già in Italia. E altri ce ne saranno nei prossimi giorni”. Sequi ha una esperienza diretta di Afghanistan: è stato ambasciatore a Kabul per 2 turni, uno come rappresentante dell’Italia e l’altro come inviato dell’Ue. Il segretario generale continua il suo ragionamento dicendo che “il ritiro del nostro contingente e delle forze internazionali non significa minimamente che noi abbandoneremo l’Afghanistan, abbiamo fatto un investimento che è costato anche la vita ai nostri militari. E continueremo il sostegno che sarà finanziario, politico e diplomatico”.
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12 Agosto 2021
L’ambasciatore chiude il ragionamento dicendo che “deve essere molto chiaro che non sarà accettata una presa di potere violenta o con la forza da parte di nuovi regimi, non sarà riconosciuto alcun altro Emirato”. Il problema è che per ora i talebani non si fermano, continuano ad avanzare con le armi. Tanto da far accelerare i piani per una possibile fuga italiana (e occidentale) da quello che tutti conoscono come “la tomba degli imperi”.