Afghanistan, appelli e liste speciali: la corsa per salvare 3,5 milioni di donne

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NEW YORK – “Salviamo la squadra femminile di robotica afghana che ha ispirato il mondo. Sono a Kabul, in trappola: sperando che qualcuno le aiuti a fuggire”. È l’appello – firmato dell’avvocatessa per i diritti umani Kimberly Motley insieme a Meghan Stone, presidente del Malala Fund – apparso ieri sul Washington Post in favore del team di ingegnere in erba (hanno fra i 12 e i 18 anni) capaci di costruirsi da sole, nella loro scuola di Herat, un robot a energia solare: diventando il simbolo dell’Afghanistan cambiato dalle ragazze.

Invitate più volte a Washington (dopo aver ricevuto un iniziale rifiuto di visto per partecipare a un concorso nel 2017), premiatedall’ex first Lady Melania Trump, il loro volto era fino a pochi giorni fa dipinto sul muro esterno dell’ambasciata americana a Kabul. Ora, insieme alle insegnanti, sono fra le migliaia di persone bloccate all’aeroporto della capitale: “Il governointervenga”, chiedono le due donne.

Fare cinema a Kabul, il coraggio di Saharaa: “Se tornano i talebani, mi uccidono”

di

Barbara Schiavulli

04 Luglio 2021

Già, quegli Stati Uniti che fin dal 2001 hanno sempre definito obiettivo prioritario il miglioramento della condizione femminile in Afghanistan. Investendo in 20 anni – secondo dati delle Nazioni Unite – 800 milioni di dollari in programmi specificamente intesi a sostenere progetti educativi e sanitari dedicati a donne e ragazze. E altri 4 miliardi in progetti che le coinvolgessero. In realtà, i numeri della frequenza scolastica non sono mai stati altissimi. Se prima del 2003 le bambine iscritte a scuola erano meno del 10 per cento, nel 2019 arrivavano al 33 per cento del totale. In calo dal picco del 48 per cento nel 2011 (anno del primo ritiro Usa, quello voluto da Barack Obama. In totale, secondo uno studio della Brooking Institutions, 3,5 milioni di afghane hanno frequentato scuole in questi anni: ma non per periodi troppo lunghi. La media è 18 mesi, rispetto a 6 anni dei maschi. Di queste, solo 100mila hanno concluso studi universitari.

Le opportunità, d’altronde, sono sempre state limitate soprattutto alle aree urbane, dove erano state erette scuole spesso gestite da ong internazionali. Per le residenti in aree rurali – circa il 76 per cento del totale – l’accesso all’istruzione è stato sempre difficile. Importante, invece, l’impatto sanitario: in 20 anni, l’aspettativa di vita delle donne è passata da 57 a 66 anni.

Certo, ora il portavoce dei talebani Suhail Shaheen già promette: “Rispetteremo i diritti femminili, consentiremo accesso all’istruzione”. Salvo chiarire: “Secondo le leggi della Sharia”. I fondamentalisti non considerano le donne pari agli uomini, nonostante la Costituzione afghana abbia riconosciuto l’uguaglianza nel 1964, ribadendola poi nella nuova Costituzione del 2004. E da sempre osteggiano l’istruzione delle bambine, tollerata solo fino a 8 anni. Mentre le adulte non possono lavorare e possono uscire di casa solo interamente coperte e accompagnate da un parente maschio. “Prima o poi i talebani verranno a cercarmi: per uccidermi”. Zarifa Ghafari, 27 anni, sindaca di Maidan Shar, la più giovane dell’Afghanistan, ha detto alla Bbc.

E pensare che nel 2019 il Congresso americano aveva condizionato i fondi per il ritiro a una certificazione da parte dell’Amministrazione che assicurasse garanzie sui diritti femminili. Trump lo aveva fornito. Di recente pure il Segretario di Stato Tony Blinken ha ripetuto che i talebani avranno aiuti e riconoscimento internazionale solo se rispetteranno le donne. Ma ai talebani, di riconoscimenti e aiuti, importa?

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