“Quanto dolore per Kabul , ma mio marito Mauro non è morto invano in Afghanistan”

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C’era una frase che Mauro Gigli era solito ripetere: «Anche oggi abbiamo reso il mondo più sicuro». È una frase che chi lo conosceva continua a ripetere spesso e che è stata impressa anche su una targa che il comune di Villar Perosa, dove abitava con la famiglia, ha dedicato al sottotenente degli alpini caduto in Afghanistan il 28 luglio 2010. Era impegnato nel disinnesco di un ordigno e quando si rese conto dell’imminente esplosione, anziché mettersi al riparo pensò di mettere in salvo la vita di numerosi colleghi, gesto che gli è valso la medaglia d’oro al valor militare. Alla memoria di Gigli è anche dedicato il documentario “La strada per Kabul”, del regista torinese Gigi Roccati, che aveva lavorato intensamente con l’artificiere del 32° Reggimento Genio Guastatori caduto a Herat. Un impegno, quello nelle missioni in Afghanistan, che la vedova Vita Biasco non rinnega in alcun modo, nemmeno ora che le immagini che arrivano dalla tv sono quelle di un Paese tornato in balia dei talebani, dopo una guerra durata vent’anni. «Nonostante quello che sta accadendo — dice la donna — continuo ad essere convinta che il sacrificio di mio marito non sia stato vano».
 

Cos’ha provato quando ha saputo che la situazione in Afghanistan stava precipitando?
«È una situazione triste e grave. Mi fa male vedere quelle immagini, quella povera gente e soprattutto le donne e i bambini, che stanno perdendo la vita. Ed è per questo che accendo poco la televisione in questi giorni. Ma se penso a quello che mi diceva mio marito della situazione che c’era là, penso che comunque andare in missione sia valsa la pena, anche se lui ha perso la vita».
Cosa le raccontava suo marito?
«Del suo lavoro in realtà diceva poco: ogni tanto mi raccontava di qualche bambino che incontrava o dei ragazzi afghani che lavoravano per loro e che si guadagnavano qualche soldo persfamare le loro famiglie. Ma quando parlava era fermamente convinto della bontà di quello che faceva, dell’importanza del loro ruolo. E ne sono convinta anche io. Lui ha fatto del bene, ha salvato delle vite e anche se ora le cose stanno andando in questo modo, quello che di buono lui ha fatto non si cancella e il suo sacrificio non è stato vano».
Diversi feriti, così come le famiglie delle vittime nelle missioni militari all’estero, hanno esternato una forte rabbia per il sangue versato inutilmente e il dolore sprecato senza raggiungere l’obiettivo di un Afghanistan pacificato. Lei cosa pensa?
«C’è chi dice che i nostri ragazzi sono stati mandati a morire, invece io penso che sono tutti volontari, persone che hanno scelto l’esercito per aiutre chi è in difficoltà e hanno voluto portare avanti il loro impegno fino alla fine. Forse, vedendo come stanno le cose, non bisognava abbandonare l’Afghanistan, forse quello che sta succedendo poteva essere previsto, ma sono questioni in cui non voglio entrare e comunque non è stato un sacrificio inutile perché i nostri ragazzi hanno fatto del bene».
Non ha mai provato rabbia per chi ha ucciso suo marito?
«Il dolore è troppo forte e sovrasta qualunque altro sentimento. Sono passati undici anni e ancora quando penso a mio marito sento uno strazio così grande che mi impedisce di mettere a fuoco sia la mente che la mano che hanno ideato l’attacco in cui è morto mio marito. Quindi non riesco neanche a provare odio verso quel Paese. D’altra parte si sa che i militari della Nato non sono ben accetti da molti nei posti in cui vanno: è la povera gente che sta dalla loro parte perché si sentono aiutati, ma per altri sono un nemico e questo deve essere messo in conto».
Anche suo figlio ha scelto di fare l’artificiere. È stato per celebrare la memoria del padre?
«In realtà lui aveva già fatto domanda per entrare nell’esercito prima della morte del padre, anche se l’esempio di Mauro e la sua morte hanno avuto un peso nella scelta. E io sono da una parte orgogliosa della strada presa da mio figlio e dall’altra preoccupata».

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