LONDRA – “Le madri erano disperate, i talebani le picchiavano. Si sono messe a gridare, ‘salvate il mio bambino’, e ci hanno gettato i figli. Alcuni sono caduti sul filo spinato della recinzione. Quello che è successo è terribile. Alla fine della notte non c’era un uomo tra di noi che non stesse piangendo”.
Kabul, il dramma all’aeroporto: bambini passati di mano in mano oltre il muro di cinta
Il racconto di un ufficiale del reggimento di paracadutisti britannico che controlla un settore dell’aeroporto di Kabul è affidato a Kim Sengupta, un inviato, corrispondente estero e columnist dell’Independent, veterano di tanti conflitti, ben noto nella comunità giornalistica di Londra e anche buon conoscitore dell’Italia, perché partecipa da anni al seminario anglo-italiano organizzato a Venezia dalla nostra ambasciata nel Regno Unito.
Le scene di brutale violenza, afferma nel reportage pubblicato oggi dal suo giornale, sono scoppiate in prossimità dell’Hotel Baron, nelle vicinanze dell’aeroporto, diventato il punto focale in cui si riuniscono gli afghani che cercano di ottenere un posto in un volo verso la Gran Bretagna. “Un punto in cui combattenti talebani si trovano a pochi metri dai parà e dalle forze speciali britanniche, separati da barriere di filo spinato e da una barricata di veicoli militari”, scrive Sengupta. Ed è lì che, vista l’impossibilità di superare lo sbarramento, assalite a bastonate e minacciati dai talebani che vogliono farle indietreggiare, a un certo punto alcune donne – la testimonianza dell’ufficiale non specifica quante – hanno fatto ricorso a un gesto estremo, gettando i propri figli oltre l’ostacolo, verso le braccia dei commandos britannici. Ma qualcuno dei piccoli è caduto sul filo spinato, con conseguenze che è facile immaginare.
Afghanistan, la stretta dei talebani. Ma nel Nord nasce il fronte della resistenza
di
Giampaolo Cadalanu
18 Agosto 2021
Anche la sorte di quelli che sono stati tratti in salvo, peraltro, è in dubbio: “Non abbiamo l’autorità di portare in Gran Bretagna dei minori non accompagnati dai genitori”, oltre che chiaramente senza documenti, commenta il ministro della Difesa britannico Ben Wallace. Ma il fatto che militari di professione, appartenenti ai corpi meglio addestrati dell’esercito, non siano riusciti a trattenere le lacrime dopo avere assistito a scene simili, la dice lunga sul dramma in corso di svolgimento a Kabul.
La scelta di una madre afghana, separarsi dal proprio figlio nel disperato tentativo di salvarlo, pur rischiando di vederlo morire sul filo spinato e senza avere la minima idea del destino che lo attende, ricorda “La scelta di Sophie”, un film del 1982 diretto da Alan J. Pakula, tratto dal romanzo omonimo di William Styron e interpretato da Meryl Streep (che vinse un Oscar come miglior attrice), su una madre ebrea durante la Shoa che deve decidere quale dei due figli portare con sé nel campo di concentramento nazista e quale provare a salvare, abbandonandolo. Una decisione che in certa misura si ripete, in tutta la sua tragicità, mentre Kabul cade sotto le ombre di un regime fanatico e spietato.