Rompendo il suo lungo silenzio dopo la disastrosa fuga degli occidentali dall’Afghanistan, Giuseppe Conte – nella nuova veste di presidente del Movimento 5 Stelle – si è finalmente pronunciato. La sua posizione è che bisogna parlare con i talebani. Avesse detto solo questo, non ci sarebbe nulla da obiettare: anche l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha detto che “dobbiamo parlare con i talebani, visto che hanno vinto loro”. È quella che Bismark chiamava “realpolitik”.
Di Maio a Conte: “Giudicare i talebani da azioni non dalle parole”. Il leader 5S: “Sì al dialogo serrato, il regime si è dimostrato distensivo”
19 Agosto 2021
Ma Conte non si è fermato qui. Ha invocato “un serrato dialogo”, che è ben più impegnativo, e ha motivato questa richiesta con il fatto che “il nuovo regime talebano si è dimostrato abbastanza distensivo”. Ora, definire “distensivo” un regime fondamentalista che ha già cominciato a cercare casa per casa le donne che hanno violato la Sharia, e sta sparando sui disperati che a Kabul cercano di raggiungere gli ultimi posti sugli aerei in partenza verso la libertà è – diciamo – un po’ eccessivo, da parte di un ex presidente del Consiglio. Al punto che persino Luigi Di Maio (il ministro degli Esteri al quale un tempo lui chiedeva in aula il permesso di dire la sua) lo ha seccamente bacchettato: “I talebani dobbiamo giudicarli dalle loro azioni, non dalle loro parole”.
Forse Conte – che sul blog di Beppe Grillo viene messo nella lista dei responsabili della “scellerata” occupazione dell’Afghanistan – avrà preso per buono il titolo di prima pagina del giornale che lo sponsorizza, “Il Fatto”: “I talebani fanno i democristiani”. Oppure ha detto la prima cosa che gli passava per la testa. O magari la pensa come il governo cinese, per il quale “i talebani risponderanno ai desideri della popolazione”. Non lo sappiamo. Non è mai stato facile capire se dietro le sue parole ci sia davvero un pensiero (e se sia il suo). Gli piace tenerci sulla corda.