Il 24 agosto del 2016, un terremoto di magnitudo 5,9 – il più forte mai registrato nel nostro Paese dai tempi dell’Irpinia – devastava i territori di 138 comuni compresi tra Lazio, Marche, Abruzzo, Umbria e, con loro, la vita di 581mila anime che li abitavano. A cinque anni di distanza e a valle di oltre 6 miliardi di euro di fondi pubblici e sostegni Ue, che diventeranno 10 entro i prossimi sei mesi, la ricostruzione è appena cominciata. Siamo tornati ad Amatrice per raccontarvi il perché.
La demolizione è finita
La demolizione di Amatrice è finita. Un lustro dopo il terremoto. Nei primi dodici mesi ci hanno pensato le 93.000 scosse di assestamento che hanno continuato a far tremare l’area. Negli ultimi 4 anni, la mano pubblica. Lenta fino all’inedia. Ora, soltanto ora, inizia la ricostruzione. La gru assegnata al centro storico, raso al suolo, ne è testimone e simbolo. L’azienda edile Matrix l’ha alzata, altissima, soltanto il 29 luglio scorso. Milleottocento giorni dopo i 237 morti. Intanto, i costi per il superamento dell’emergenza e la demolizione del Cratere dell’Italia centrale sono già ingombranti: 6,11 miliardi di euro. Che raggiungeranno i 10 miliardi a fine anno.
L’auditorium con i colori dell’Appennino, appena inaugurato dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, è il segno più evidente di una partenza. La casa della montagna, con il pavimento disegnato come un percorso per i Monti della Laga, le stanze in comodato al Club alpino e la parete per le arrampicate, dice che il 2021 è finalmente l’anno uno. È stata restituita alla popolazione, non alle sue funzioni, la scuola Romolo Capranica, crollata nella stessa area. E nel perimetro che vede in mezzo alla scena sempre i container del Comune di Amatrice (era il vecchio Coc, il centro operativo della prima emergenza), sono state posate le fondamenta dell’ex istituto alberghiero: un progetto che riporterà gli studenti in aula in 560 giorni e prevede un convitto, è orizzontale. Era un pericoloso grissino giallo issato al cielo contro ogni ragionevolezza statica, il 24 agosto 2016 si sbriciolò alla prima scossa.
Diversi cantieri non hanno data d’inizio ed è difficile capire quando i lavori saranno consegnati. Il Parco giochi Minozzi, con gli scivoli incassati nelle fasce d’erba, è il riferimento sopravvissuto delle famiglie resistenti. E il by-pass d’asfalto all’ingresso del paese, meglio, la Città di Amatrice, adesso mostra cosa è rimasto sopra la polvere della demolizione naturale e meccanica: il moncone della Chiesa di Sant’Agostino, lo scheletro di quella di San Francesco, la sagoma della Torre Civica. La lenta soprintendenza ai Beni archeologici, alle Belle arti e al Paesaggio, erede del compianto Saverio Urciuoli, deve fare in fretta a mettere in sicurezza il rudere laico altrimenti sotto la città di polvere non si potranno aprire i tunnel dei servizi con i cavi dell’elettricità, i tubi per il gas, le condotte per l’acqua. Si dovrà smettere di ricostruire, anche se si è appena iniziato.
“La natura non uccide. L’uomo, sì”
Al campo sportivo, per il quinto anniversario, arriverà il premier Mario Draghi. Da presidente, ha detto ai suoi: “Voglio vedere Amatrice”. Si celebrano i cinque anni da quel funerale collettivo che unì duemila persone in lacrime alle parole rabbiose di Sergio Pirozzi, sindaco scarpone che non aveva avuto lutti personali, ma si era caricato il peso della tragedia. Aveva indossato felpe con un messaggio per le telecamere e stretto un sodalizio con il commissario Vasco Errani, “l’unico comunista con cui sono mai andato d’accordo”.
Pirozzi, ora consigliere nella Regione Lazio con Fratelli d’Italia, ha un processo in corso per omicidio colposo: dentro una palazzina Ina di Piazza Sagnotti, con i piloncini di sostegno segati dalle scosse, sono morte diciannove persone. Era stata sgombrata dopo il terremoto dell’Aquila, ma lui aveva fatto rientrare le famiglie, che sono rimaste là sotto. L’assessore Giambattista Paganelli, oggi quattro deleghe, fratello di strada di Sergio Pirozzi, ha il coraggio di dire quello che l’ex sindaco non ha mai detto: “Il terremoto ha ucciso per colpa nostra, per la mentalità della gente di Amatrice, per tutto quello che fino all’estate del 2016 avevamo costruito e non avevamo messo in sicurezza. La prevenzione non l’abbiamo mai fatta. Sapevamo che se fosse arrivata una scossa importante sarebbe stata una tragedia. La natura non uccide, l’uomo sì”.
Il cantiere del condominio “11 Piceno”. 56 appartamenti per un investimento di 10 milioni di euro. Iniziato nel 2018, ha subito dei rallentamenti a causa della pandemia ed è stato terminato ad aprile 2021. Amatrice, febbraio 2021 (© TerraProject)
138 Comuni e 581mila anime
Amatrice è il comune più colpito: 237 morti appunto. Ed è l’epicentro emotivo del primo terremoto del Cratere dell’Italia centrale. Alle 3,36 del 24 agosto 2016 la scossa numero uno – una magnitudo di 5,9, la più forte dai tempi dell’Irpinia – fece crollare le case in pietra ereditate e gli edifici pubblici costruiti senza senno. “Danno a livello dieci”, fu la stima dell’osservatorio europeo. Non serve rifarsi ai precedenti storici, quattro terremoti devastanti dal 1672. Sarebbe bastata la memoria corta, i confini immediati – Assisi nel 1997, L’Aquila nel 2009 – per capire che l’architettura sulla montagna tra Rieti e Ascoli avrebbe dovuto essere rinforzata, in alcuni casi impedita. Invece gli interventi di miglioramento sismico realizzati sugli edifici, con fondi stanziati proprio in seguito al ’97 e al 2009, hanno prodotto il crollo della scuola Romolo Capranica (senza studenti all’interno) e del campanile di Accumoli (una famiglia di quattro persone uccisa nel sonno).
L’epicentro della scossa, otto chilometri sottoterra, fu individuato ad Accumoli, undici vittime. Pescara del Tronto, affacciata sul fiume da un costone poggiato su terreno franoso, collassò sulla Salaria. Fu cancellata dalle mappe. Oggi s’ipotizza di ricostruire solo la parte più in alto di Pescara, le famiglie ospitate nelle casette temporanee lungo il fiume saranno rilocalizzate in altri due territori nel Comune di Arquata del Tronto (che ha contato 51 morti). Amatrice fu polverizzata dai successivi eventi sismici senza requie, che avrebbero avuto altri due picchi il 26 ottobre 2016 a Castelsantangelo sul Nera e Ussita, nel Maceratese, e un quarto il 30 ottobre con il “6,5 della Scala Richter” che aprì la cattedrale di Norcia. L’area del Cratere dei terremoti dell’Italia centrale – l’epilogo tragico si avrà con la valanga di Rigopiano, probabilmente smossa da una scossa il 18 gennaio 2017 – da allora prese una superficie di 7.929 chilometri quadrati, una volta e mezzo il territorio colpito in Friuli nel 1976, la metà dell’Irpinia 1980.
In dieci settimane i danni toccarono 138 comuni italiani di quattro regioni: Lazio, Marche, Umbria, Abruzzo. All’interno dell’area, vivevano 581.000 persone. Ogni scossa sopra il “4” spostava, faceva cadere, sbriciolava. Bloccava ogni lavoro di censimento. E costringeva il commissario all’Emergenza e la Protezione civile a rifare i progetti di assistenza, la conta degli edifici colpiti, il trasferimento della popolazione sul Mare Adriatico, ad Ascoli, a Rieti, a Roma.
Vigili del fuoco rimuovono le macerie sulla strada tra Amatrice e la frazione di Cossito, settembre 2016 (© TerraProject)
Trenta mesi di vuoto
Vasco Errani, il commissario della prima ora e del primo anno, ha convissuto con questa difficoltà permanente – i sopralluoghi sulla stessa unità colpita sono stati fatti anche otto volte – e il continuo reindirizzo dell’opera di intervento. Con lui sono state diverse le realizzazioni all’impronta: l’individuazione e l’acquisizione dei terreni dove impiantare le casette temporanee, l’arrivo e l’installazione delle soluzioni Sae. I problemi sono nati con il passaggio dal Governo Renzi all’esecutivo Gentiloni e la nomina a commissaria di Paola De Micheli (Pd come il predecessore), tredici mesi per lei. E poi, Governo Conte Uno, i sedici mesi del geologo Piero Farabollini (M5s). In questi due anni e mezzo la difficile ricostruzione si è inabissata ingolfandosi nella melma della burocrazia più odiosa, nell’incapacità di trovare un filo rosso da offrire ai molti sindaci con situazioni diverse.
Il terzo commissario Farabollini, per spiegare i motivi dell’inazione perpetua, chiedeva per iscritto al portavoce del partito, Vito Crimi, il nullaosta su ogni atto da firmare. Raccontano di due anni e mezzo di oblio e di un vuoto disperante. Lo raccontano assessori in carica ad Amatrice come Giambattista Paganelli, ex sindaci di destra come Sergio Pirozzi, del vicesindaco (lui di sinistra) Massimo Bufacchi, ristoratori dell’area food, gli attivisti di Illica, gli impresari edili locali.
La ricostruzione con i commissari di mezzo, De Micheli-Farabollini, è uscita dalla scena nazionale. Con la prima – che sarà una ministra dei Trasporti impacciata nel Conte 2 – i numeri dicevano: 5.372 abitazioni individuate da ricostruire, 402 cantieri chiusi. Meno del 7 per cento. Furono poco più di cinquemila le domande di interventi a fronte di ottantamila edifici danneggiati. Contro il geologo di Treia, invece, i 138 sindaci del Cratere minacciarono una marcia ottanta giorni dopo l’insediamento. Le cui ragioni così spiegava l’ingegner Filippo Palombini, sindaco facente funzioni di Amatrice dopo il dirottamento in Regione di Pirozzi: “Il commissario Farabollini è un uomo presuntuoso e approssimativo, inadeguato. Questo governo ha sbandierato di voler passare i poteri della ricostruzione ai sindaci, ma per il commissario i sindaci sono sudditi”.
I commissari straordinari
Il Commissario burocrate voluto dai 5S
Farabollini non si vedeva mai sul territorio e ai primi cittadini non rispondeva al telefono. Durante il suo governo dell’emergenza si erano bloccati i trasferimenti per gli stipendi del personale comunale e così la rimozione delle macerie. Il commissario straordinario e geologo si era chiuso dentro la struttura, abbracciato alle regole e alle procedure. Intorno non si muoveva foglia. Le gare d’appalto avevano assunto tempi biblici. Farabollini stesso spiegò – era il dicembre 2018 – le ragioni dei ritardi: “Non decido io. Faccio il portavoce e relaziono il sottosegretario Crimi. Stiamo iniziando a individuare le strozzature che rallentano le scelte. Quando avremo terminato il lavoro preliminare, inizieremo a decidere. La verità è che prima i sindaci andavano con la lista della spesa dal commissario in carica, era considerato un bancomat, ora non più”.
I trenta mesi di passo lento hanno accelerato l’erosione sociale, sottratto teste giovani alle frazioni, Amatrice ne ha sessantanove, Accumoli diciotto, Arquata tredici. I numeri dei residenti di Amatrice, la città più importante, e quindi più capace di alzare difese, spiegano come dai 2.681 dell’anno 2015 che precedette il sisma si è passati ai 2.346 del 2020 con una perdita di 335 persone (vittime del terremoto comprese). Sono il 12 per cento in cinque stagioni. In valore assoluto non è un’emorragia, ma i numeri non dicono tre cose: molti hanno mantenuto la residenza in area anche se non ci abitano, non vogliono avere altri ostacoli con le farraginose pratiche di ricostruzione; la maggior parte di chi se ne va è under 30; lo spopolamento della montagna dell’Italia centrale era iniziato prima della scossa. In inverno Amatrice (e le sue 69 frazioni) conta seicento presenze, la metà di quelle di “prima”.
Aggrappata alla scuola
La città a 955 metri sul livello del mare si è aggrappata, per istinto di sopravvivenza, alla sua scuola. L’infanzia, le elementari, le medie, le superiori. Pirozzi in quella tarda estate 2016 requisì un terreno a San Cipriano e la Protezione civile del Trentino in quattordici giorni tirò su una struttura di 500 metri quadrati con cinque aule, una segreteria, una biblioteca e i bagni. Centosessanta alunni iscritti hanno salvato la speranza, per sempre. La nuova Romolo Capranica sarebbe stata trasformata e portata a nord, sullo stesso sedimento, per due volte. L’allora sindaco e la preside Maria Rita Pitoni coltivarono l’intuizione virtuosa di insediarci un liceo sportivo. Oggi quel miracolo dei falegnami della Valsugana è diventato una struttura definitiva, azzurro tenue, in una zona che si è trasformata nell’appiglio economico di Amatrice: l’Area Food.
Dall’estate 2017 si sono trasferiti qui, su un progetto dell’architetto Stefano Boeri, sette ristoranti, compreso quello dell’Hotel Roma che nel sito originario aveva visto sette morti. E a scendere verso la città, quindi, si è lentamente sviluppato il ritorno alla vita con un supermercato Carrefour, due aree del commercio (27 negozi su due piani, la prima, con dentista e gioielleria, 45 botteghe la seconda con la mescita del vino locale) e, proseguendo, il Bar Rinascimento, altri tre ristoranti, un’azienda di rivestimenti. La vita economica faticosamente ha ripreso e l’Area Food ha sempre presenze assicurate, soprattutto nel week end, spesso di motociclisti solidali. Il perenne traffico sulla salita che dal centro storico sale a San Cipriano ha garantito quel filo di economia che ha tenuto viva una piccola città rasa al suolo. Altre undici attività hanno aperto nelle frazioni e Luigi Bucci, storico proprietario del “Castagneto”, sindaco craxiano dal 1980 al 1990, è pronto a scendere dalle alture per riaprire in centro storico il ristorante: 300 posti e 31 stanze per la notte. In mezzo deve anche affrontare un processo come progettista di Palazzo D’Antoni, crollato in Corso Umberto 63 con sette vittime.
Studenti durante la ricreazione nella scuola di Amatrice a San Cipriano, novembre 2016 (© TerraProject)
L’accelerazione delle pratiche
L’Ordinanza 100 del commissario straordinario, accompagnata a un aumento del personale degli Uffici speciali della ricostruzione, ha velocizzato l’emissione dei decreti di contributo. La certificazione affidata ai progettisti scelti dai proprietari delle case colpite ha snellito le procedure: sulla legittimità dell’immobile e la congruità del contributo i professionisti si prendono direttamente la responsabilità e in novanta giorni, con il silenzio assenso dei comuni, i soldi vengono erogati. Prima un’istruttoria, comprensiva di trattativa sui coppi da mettere a tetto, poteva durare diciotto mesi. “C’è stata un’accelerazione delle pratiche, l’apertura di molti cantieri”, sostiene il Terzo rapporto sulla ricostruzione. Sono 1.110 quelli chiusi nel primo semestre del 2021. Hanno pesato, certo, le scelte decisioniste del quarto commissario straordinario, Giovanni Legnini, abruzzese di Chieti, una carriera da sottosegretario Pd culminata, prima della ricostruzione, nel ruolo di vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Legnini ha tolto i ceppi al “sistema contributi” con l’Ordinanza 100 e, poi, ha fortemente limitato i veti offrendo nuove ordinanze in cui i sindaci per poter dire “no” devono essere presenti e motivare l’opposizione per iscritto. Il commissario, comunque, ha i poteri per procedere anche di fronte a una minoranza contraria.
L’ultimo ciclo della ricostruzione, appena presa velocità, ha conosciuto nuove ragioni per frenare. Le due stagioni di Covid hanno portato con sé, insieme alle naturali difficoltà per le istituzioni e le imprese, un aumento dei prezzi dei materiali da cantiere. Il costo del ferro-acciaio tondo, necessario per il cemento armato, da novembre 2020 a maggio 2021 è cresciuto del 150 per cento. E il successo in tutto il Paese del superbonus edilizio, i lavori con il cosiddetto sconto del 110 per cento, ha tolto geometri e manovali al Cratere. Di più: la concentrazione dei professionisti – ingegneri e architetti, soprattutto – rappresenta un ostacolo e una preoccupazione di monopolio. Dei ventitremila la cui domanda era stata accettata, lavorano solo settemila e ottocento, meno di un terzo. E di questi, trentadue tecnici hanno presentato più di cinquanta domande a testa. Due di loro, oltre cento. Non riescono a seguirle tutte contemporaneamente e i tempi delle singole opere ne risentono.
Molti incarichi per “l’opera a stucco” sono stati dati a voce. Rimettere ordine nel ginepraio dei cantieri è un lavoro nel lavoro. E la conflittualità, che è sfondo per tutte le attività di questa montagna, si ritrova nelle associazioni di imprese. Per ora è riuscita nell’intento di creare un’Ati solo la Matrix construction company di Amatrice, quattro imprenditori locali che si sono messi insieme, hanno via via assunto sessanta operai e fatto propria una fetta considerevole di lavori: 56 cantieri in tutto. “Vogliamo dare lavoro alle persone del posto e fare in fretta”, spiega il presidente Gaetano Galli: “La discriminante, questa volta, non sarà il massimo guadagno”.
Nove proprietari su dieci non hanno fatto richiesta per i danni
Il terremoto ha avvolto in una cappa di sfiducia una popolazione anziana. “Ormai non vengono neppure più agli eventi che li riguardano”, racconta il vicesindaco Bufacchi. Il numero delle richieste di intervento è basso. In maniera significativa: le domande di contributo per gli edifici con danni gravi sono l’11,7 per cento. Significa che nove proprietari su dieci non hanno inteso, per ora, recuperare l’immobile, non credono di recuperarlo, non vogliono tornare sui Monti della Laga, hanno cambiato location per la seconda casa, non vedono una luce in fondo al travaglio della ricostruzione.
Nel territorio di Accumoli è stato presentato il 16 per cento delle richieste possibili per i danni lievi e solo il 5 per cento per quelli gravi. A Leonessa, provincia di Rieti, tra chi ha avuto un edificio compromesso, soltanto il 7 per cento ha chiesto indennizzi. Il commissario Legnini si è reso conto che i numeri sono troppo bassi: le residenze, le stalle, i panifici, i luoghi dell’artigianato, i negozi fin qui accertati come inagibili sono stati 80.346 e le domande d’intervento soltanto 20.669. Gli uffici della ricostruzione hanno avviato una nuova ricognizione chiedendo ai cittadini che non hanno ancora presentato la richiesta di contributo – Rcr – di manifestare esplicitamente la volontà a farlo. Le prenotazioni sulla piattaforma sono arrivate a 2,3 miliardi di euro e hanno fatto salire la percentuale degli interessati vicino al 20 per cento (i dati sono in analisi). L’ultima chiamata scade il prossimo 30 settembre.
A fine anno si arriverà a 10 miliardi di spesa
Sei miliardi e centodieci milioni sono stati stanziati fin qui dallo Stato italiano e dall’Unione europea. Per uscire dall’emergenza la Protezione civile ha potuto mettere a bilancio 3 miliardi di euro (1,8 sono precisamente fondi statali e 1,2 arrivano dal Fondo di solidarietà Ue) impiegandone 2,4. Poi ci sono i 2,7 miliardi per l’edilizia privata (cantieri completati per 5.000 edifici) e 410 milioni spesi per l’edilizia pubblica. Le opere di interesse collettivo finanziate sono 2.600, quelle ultimate 251, meno del 10 per cento.
Nei progetti di ricostruzione – tenendo il faro su Amatrice – si leggono: l’ostello e il Centro espositivo (ex Convento di San Francesco), il Centro convegni (ex Chiesa di San Giovanni), il Centro culturale (ex Chiesa di San Giuseppe), il Centro della musica (ex Chiesa di Santa Maria di Porta Ferrata), il Museo civico Cola Filotesio (ex Chiesa di Sant’Emidio), il Museo della ricostruzione (ex Cinema Teatro Garibaldi).
Oggi, però, l’accelerazione si osserva solo sullo spostamento delle macerie. Negli ultimi sei mesi le somme erogate per la rimozione sono più che raddoppiate. E sono quasi raddoppiati gli investimenti per rifare le chiese del territorio. Siamo invece fermi ai numeri del dicembre 2020 per il recupero delle scuole (80 milioni spesi contro 74) e le “altre opere pubbliche” (56 milioni contro 53). Nel complesso gli interventi finanziati per i beni comuni sono 2.619: tra questi, gli edifici di culto sono 936, le scuole 249, 150 le sedi municipali, 93 i cimiteri, 70 gli impianti sportivi, 42 tra teatri e musei, 35 le caserme, 10 gli ospedali. Anche qui, i censimenti realizzati sono tutt’altro che definitivi.
Nel Terzo rapporto, il commissario Legnini scrive: “Attualmente, come per la ricostruzione privata, è in corso una ricognizione più puntuale sia delle chiese che delle opere pubbliche danneggiate dal sisma che devono essere ripristinate, o che devono essere realizzate ex novo per favorire la ricostruzione, e che potranno essere finanziate con il nuovo stanziamento di 1,7 miliardi di euro disposto con la Legge di Bilancio 2021”.
Un primo ri-censimento ha individuato altri 184 istituti scolastici (più di 600 milioni di euro da investire) e altre 3.423 opere pubbliche di varia natura, una volta e mezzo quelle già avvistate (per un nuovo costo stimato di 2,8 miliardi di euro). Solo così i costi del Cratere fin qui accertati salgono a 9,5 miliardi. E dalla contabilità restano fuori i finanziamenti per il rilancio economico: il miliardo e sette del Piano nazionale di resilienza e resistenza (per L’Aquila e i terremoti 2016-2017) fondato su altre risorse europee e i 160 milioni del Contratto nazionale di sviluppo.
Ci sono, infine, “3-4mila” (così) nuovi interventi sulle chiese. Un mare di cose non ancora definite. “Ora deve partire il censimento del numero degli appartamenti danneggiati”, dicono al commissariato. Le unità abitative stimate – gli appartamenti con danni, ecco – sono 52mila sugli oltre 80mila edifici di varia natura. E che i dati siano ancora in movimento dopo cinque anni, e sostanzialmente poco affidabili, lo dimostra il fatto che Todi, fuori Cratere, con 112 milioni risultasse il sesto comune per contributi ricevuti: il commissario ha ritenuto la cifra poco credibile e ha chiesto accertamenti. In questi accertamenti sulle sabbie mobili, i tecnici dell’Enel non sanno dove fare gli attacchi della luce nelle abitazioni private, non sanno quale casa è abitata, quale sarà abitata, quale sostanzialmente abbandonata. Una certezza c’è: un altro ponte a rischio crollo e lo si scopre cinque anni dopo. È quello di Saletta, altra frazione di Amatrice, e la statale Ss4, la Salaria, ha di nuovo deviazioni lungo il percorso.
“Dobbiamo ripartire dal nostro cattivo carattere e riaprire Amatrice con le nostre mani”, dice l’assessore tuttofare Paganelli, “stiamo rischiando di diventare una comunità assistita”. Ad Amatrice 180 persone ricevono, dopo cinque anni appunto, il Contributo per l’autonoma sistemazione (Cas). Tra i 400 e i 900 euro a famiglia. Erano 1.200 i cittadini amatriciani sostenuti subito dopo il sisma. In tutto il Cratere, oggi, in 28.000 hanno il Cas: in due anni hanno rinunciato al contributo per un affitto solo diecimila persone. I redditi di cittadinanza, nell’area, sono diverse centinaia. E i soldi privati arrivati ai singoli comuni sono davvero tanti. Solo Amatrice ha ricevuto direttamente 13 milioni di euro. Ancora, le donazioni raccolte subito dopo il sisma tramite gli sms solidali ammontano a 34,1 milioni di euro e sono state impiegate in 119 opere. “Abbiamo tanti soldi in cassa”, dice Paganelli, “è venuto il momenti di farci da soli quello che lo Stato non riesce a darci e iniziare a pensare a quando usciremo dalle casette temporanee”. C’è chi, questo si è verificato nelle Marche, la casetta non vuole lasciarla, chi immagina di subaffittarla.
I giovani e la terra: ”Questa montagna rinascerà, più forte di prima”
Giuliano Coltellese, 36 anni, è un allevatore di Tino, frazione di Accumoli. Ha ereditato dal padre la passione per i vitelli e con il fratello manda avanti un’attività di vendita di carni messa in crisi tre volte: il 24 agosto 2016 dal terremoto, poi dalla nevicata del gennaio 2017 e infine dal Covid. Michela D’Alessio, 33 anni, è cresciuta a San Giorgio, sei chilometri da Amatrice. Sta provando ad avviare un commercio di legumi e con la madre ha trasformato alcune casette temporanee in un bed and breakfast di successo. Manuela Baiocchi, romana di 35 anni, ha scelto di vivere dopo il sisma nel luogo delle vacanze,Terracino, frazione di Accumoli. Tre giovani allevatori, coltivatori e produttori di queste terre, convinti che “la montagna tra Amatrice e Accumoli rinascerà e sarà più forte e più bella di prima”
di Corrado Zunino, riprese di Marzio Mozzetti
Il traffico delle aree edificabili
Attorno ad ogni ricostruzione, le malversazioni sono fisiologiche. La vicesindaca di Pirozzi, Patrizia Catenacci, ottenne, esibendo incongrue attestazioni storiche, di far puntellare a spese di tutti la casa di proprietà. È ancora puntellata. Recentemente, due impiegati di Camerino sono stati denunciati per aver rivenduto i permessi per ricostruire e l’anchor man Paolo Del Debbio è stato attaccato dai residenti terremotati di Illica per aver esibito l’arredo esterno della sua casa nella campagna di Lucca con cotti recuperati – pagati e fatturati – ad Amatrice.
L’ex sindaco Sergio Pirozzi, a sua volta, ha denunciato ai carabinieri di Rieti un’operazione che ha un sentore più pericoloso. Sostiene che è in corso, tanto ad Amatrice quanto a Ussita, nell’Alto Maceratese, una sospetta compravendita di suoli edificabili: a fronte di una depressione generalizzata dei residenti del Cratere – segnalata, appunto, dalle poche richieste di contributo per il ripristino della casa -, “c’è chi si compra il suolo offrendo 40.000 euro ai legittimi proprietari e si attrezza per prendere 100.000 euro di contributo”. Girano prestanome per il Cratere, sostiene Pirozzi, “e rischiamo di trasformare l’Italia centrale in un’area di speculazione immobiliare e in una nuova lavatrice di denaro malavitoso”.
L’ex sindaco sta insistendo con il commissario Legnini per ripristinare l’obbligo di non vendere l’edificio lesionato, terreno annesso, per i primi due anni dal suo recupero. “Questo vincolo, insieme all’obbligo di ottenere preventivi per i lavori da almeno tre ditte, l’avevamo imposto io e il commissario Errani. Il primo governo Conte l’ha tolto con il Decreto sbloccacantieri senza rendersi conto delle conseguenze”. Pirozzi chiede di alzare i limiti del sisma bonus da 96.000 a 140.000 euro. Il 3 e 4 ottobre prossimi ad Amatrice (e ad Arquata del Tronto, a Muccia, a Spoleto, a Campotosto) ci sono le elezioni amministrative e l’ex sindaco sta lavorando per far presentare una lista unica “costruita con i migliori” per la gestione di una ricostruzione che si sta avviando. Se non ci riuscirà – l’attuale vicesindaco Massimo Bufacchi si oppone – è possibile che Pirozzi si ripresenti: “Di certo”, spiega, “non farò altri mandati in Regione”.
Amatrice, il vicesindaco Bufacchi: “Sono passati cinque anni e la ricostruzione è partita ora”
“Serve ricostruire l’economia. Ho tanti concittadini che vivono ‘baraccati’ ancora oggi, ma sono convinto che tra cinque anni ad Amatrice avremo ricostruito quasi tutto. Finalmente siamo partiti. Abbiamo 200 cantieri aperti”‘. Lo dice il vicesindaco del paese, Massimo Bufacchi. “Serve però rilanciare l’economia. Tanti giovani sono andati via, tante case di villeggiatura sono state abbandonate, ma abbiamo iniziato a costruire una nuova economia. La pandemia in questo ci ha aiutati: lo smart working consentirà a tante persone di venire qui e lavorare da qui”
di Corrado Zunino, riprese di Marzio Mozzetti
Dodici anni ancora
Gli uomini del commissario raccontano che, appena insediato, il 27 febbraio 2020, Legnini chiese agli uffici, come primo lavoro, un calcolo sui tempi della ricostruzione avendo come parametro le concessioni edili firmate nei primi quattro anni. La proiezione indicava il “fine Cratere” nel 2048. Oggi le concessioni hanno una media di 8.000 l’anno, cifra che ha fatto arretrare la data di ricostruzione ultimata al 2029. Altri otto anni. Con una comprensibile prudenza si specifica meglio: dagli otto ai dodici anni. Più cinque, già trascorsi a demolire. Il vicesindaco Bufacchi, che quel giorno ha visto crollare il suo palazzo del ‘500 di 250 metri quadrati, è chiaro: “Non potremo ricostruire tutte le 69 frazioni di Amatrice, ma dovremo accorpare le più vicine e dare loro servizi degni. Dobbiamo convincere chi ci vive che non si può più agire da soli, a volte sembra che la lezione del terremoto non sia stata sufficiente. I sette ristoratori dell’Area food non hanno messo su un’associazione di categoria perché ognuno voleva praticare i suoi prezzi”. Ci sono montagne che passano i 2.400 metri, qui, fiumi e laghi, percorsi mountain bike. Sta tornando la produzione di carne, grano, zafferano, lenticchie e miele. Hanno riaperto i ristoranti. Amatrice non è mai stata così conosciuta nel mondo la quantità di denaro pubblico e privato arrivato non ha precedenti. Ci sono 60 milioni anche per le università dell’area. “Ora che la ricostruzione è partita, spetta solo a noi dare un senso e un corpo a tutto questo”. Ancora il vicesindaco.
L’altro pomeriggio la bufera di vento è stata fatale alla Quercia di Sant’Angelo, una delle più antiche d’Italia. Il vicesindaco segnalò il pericolo all’Ente Parco (Gran Sasso e Monti della Laga) e per prima cosa gli hanno chiesto una relazione scritta. Nel frattempo, la quercia è venuta giù. Era alta 21 metri, con una circonferenza di 6,6. Aveva più di 600 anni.
26 agosto 2016, tra le macerie del terremoto
Ritorno ad Amatrice, il mio paese non esiste più
Il racconto di Benedetta Perilli, ad Amatrice: “Torno dove sono nata e cresciuta. Il paese non c’è più. La casa dove vivevano due mie zie e una cugina è disintegrata. Arrivo e abbraccio casa mia, perché ha salvato mio padre. Ricordo come era il mio paese e ora vedo solo macerie”
video di Francesco Giovannetti
Lettera da Amatrice
di Benedetta Perilli
Nascosto, eppure in piena vista, è il dolore. Come le macerie, rimosse da quasi tutto il centro di Amatrice, eppure così visibili nelle quasi settanta frazioni che completano il comune. O come la ricostruzione, nell’ultimo anno finalmente velocissima, eppure così lenta nella burocrazia da non permettere a tante famiglie di rientrare nelle case ricostruite e a tante altre di iniziare a ricostruire. Amatrice cinque anni dopo rischia di sembrare solo una lacrima, una pietra, una gru che stenta ad alzarsi. Anche ieri notte le campane hanno risuonato, un rintocco per ogni vittima. Una tradizione tragicamente italiana. Qui l’hanno imparata dall’Aquila, sperando di non doverla insegnare più a nessuno. La retorica degli anniversari porta ad analizzare i simboli e a farlo solitamente nell’arco di poche ore. Una comunità però è un respiro lungo, non un attimo, e per chi Amatrice la vive gli altri 364 giorni, non solo nell’attimo dell’anniversario, questo è un posto bellissimo perché è dove ha scelto di vivere, nonostante tutto. Nonostante un Paese lontano e annoiato che torna a guardare questo borgo “sfortunato” una volta l’anno e vorrebbe quasi ritrovarlo sempre come ha imparato a compatirlo: doloroso e immobile. Amatrice però non è un lamento, e se la guardi dalla strada nuova che sostituisce il vecchio Corso sembra quasi un’Acropoli a difesa e monumento della sua gente.
Amatrice è le sue vittime, ma anche chi in questi cinque anni è rimasto. O è arrivato, come i 65 bambini nati dal 2016 a oggi. O come le parrucchiere Fernanda e Bianca Maria che hanno appena festeggiato i 60 anni di attività e ora cedono lo storico negozio in gestione a Talida, giovane apprendista romena trasferitasi qui per amore. O come i poeti a braccio, che sono tornati a sfidarsi in improvvisazioni in ottava rima accompagnati da zampogne, organetti e tamburelli suonati da giovani musicisti. Tra un bicchiere di vino e una balla di fieno dove sedersi.
Amatrice è anche un canto allegro in un parcheggio che funge da piazza dove si esibisce una cover band di Rino Gaetano e il pubblico intona a squarciagola “ma il cielo è sempre più blu”. Come in una qualsiasi piazza d’estate. Amatrice è una corsa alla poltrona di sindaco che, mai come in queste amministrative, si mostra dinamica e combattuta con volti nuovi, come quello dell’ex infermiere Carlo Grossi che nel sisma perse due figli, e altri noti come quello dell’ex primo cittadino Sergio Pirozzi che sarebbe pronto alla ricandidatura.
Amatrice è un’asinella bianca “parcheggiata” davanti a un bar. Il padrone veniva a vendere la frutta al mercato fino a qualche tempo fa. Poi, ha dato tutto via e ora viaggia e vive ramingo con la sua Bianchina. Ricorda Gregorio, l’eremita che negli anni Settanta qui viveva scalzo nei boschi, vestito solo di pelli di pecora, innamorato della Luna. La Luna che anche ieri splendeva quasi piena, proprio come cinque anni fa, unico faro nella notte più buia.