Kabul, tra le vittime della strage Alireza Ahmadi, il giornalista che doveva salire sull’ultimo volo per Roma

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Era l’ultimo giorno della speranza per Alireza Ahmadi. Voleva partire, raggiungere l’Italia, sapeva che non avrebbe avuto la possibilità di sopravvivere a Kabul. “Pierluigi devo partire il prima possibile, la situazione sta peggiorando. Dobbiamo sbrigarci, hanno scoperto il mio nascondiglio. Sarà quello che sarà, rischierò la vita ma ci devo provare.” Alireza era uno dei giornalisti più affermati della capitale afgana. Era nascosto in un nascondiglio segreto da dodici giorni, al buio e senza cibo, era allo stremo. In qualche modo ero riuscito a supportarlo. Gli italiani lo avevano aiutato e doveva imbarcarsi in uno degli ultimi voli Kabul-Roma. Ma non ce l’ha fatta, a 35 anni è saltato insieme a tutti quei disperati che ieri hanno lasciato un fiume di sangue nei pressi dell’aeroporto, ucciso nel vigliacco attentato dello Stato Islamico.

Il giornalista dal nascondiglio segreto: “I talebani ci vogliono morti, chiedo aiuto all’Italia”

di

Pierluigi Bussi

18 Agosto 2021

Nel pomeriggio prima dell’atto terroristico, ero preoccupato perché il suo cellulare di punto in bianco non dava più segni vita. Eppure ci eravamo sentiti fino alle 10 di mattina in Italia, 12.30 a Kabul. Alireza lavorava per il giornale Ma Daily & outlook Dail, con lui ho collaborato per anni, era il mio braccio destro. Mi girava video e notizie aggiornate da Kabul, anticipava molte agenzie di stampa sparse in tutto mondo, ed io mandavo a lui notizie relative a tutto quello che succedeva in Italia ed Europa. Perché il suo sogno era quello di venire in vacanza nel vecchio continente, anche per pochi mesi. Amava l’Italia, anche se aveva una predilezione per la Spagna. Prima dell’invasione dei fondamentalisti, non sarebbe mai voluto scappare dal suo paese e dalla sua famiglia che amava alla follia, ma solo conoscere quei luoghi di mare, che osservava sempre sul web come se fossero spaccati di paradiso.

Mi parlava della Sardegna e di Formentera. Amava i colori delle spiagge, amava le città d’arte, amava il calcio. Il suo idolo era Messi e la squadra del cuore il Barcellona. Alireza era soprattutto un grande amico, quello che spesso mi apriva gli occhi di fronte alle difficoltà della vita, io raccontavo i miei disagi e lui aveva sempre una parola buona per tirarmi su di morale. Credeva nel cambiamento nel suo paese, aveva fiducia nell’Occidente, credeva nella libertà. Non ha mai fatto un passo indietro, aveva coraggio da vendere.  Parlavamo spesso della drammatica situazione che si stava evolvendo in tutto il paese. Ma non credeva che i talebani sarebbero entrati a Kabul. Solo il 14 agosto, dopo l’invasione repentina degli studenti coranici, mi disse sempre con molto garbo, come sapeva fare lui. “Qualcuno ci ha voltato le spalle. Perché?”.

Da quel momento ha cominciato ad essere preoccupato per la sorella Halima che abitava ad Herat, anche lei giornalista. “Preferisco morire io, ma lei non la devono toccare, la stanno cercando casa per casa, si è nascosta ma non potrà salvarsi, i talebani se la rapiscono sicuramente la violentano e uccidono. Dobbiamo fare qualcosa. Aiutami ti prego”. Negli ultimi messaggi in cui gli ricordavo che era una persona speciale, per come affrontava la vita e le difficoltà, mi rispondeva. “Mi vergogno nel sentire queste parole non le merito, queste parole le merita solo il nostro Dio”. Grazie Alireza, grazie amico mio per tutto quello che hai fatto e scusami per non averti salvato. Ti saluto come spesso facevano alla fine della nostra quotidiana chiacchierata. God bless you! Che Dio ti benedica.   

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