Saman, ultime macabre rivelazioni: “Una riunione per farla a pezzi”. Lei disse alla madre: “Lo sposo è troppo grande”

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BOLOGNA Il pomeriggio del 30 aprile nella casa degli Abbas a Novellara ci sarebbe stata una riunione a cui avrebbe partecipato lo zio Danish Hasnain e un altro parente in cui si sarebbe parlato delle modalità con cui far sparire il cadavere di Saman, smembrandolo.

E’ emerso dall’incidente probatorio del fratello minorenne della 18enne, sparita proprio da quella sera, citato dall’ordinanza del tribunale del Riesame di Bologna. Riferendosi a un partecipante alla riunione, il fratello racconta: “Ha detto: io faccio piccoli pezzi e se volete porto anch’io a Guastalla, buttiamo là, perché così non va bene”.

Il movente dell’omicidio dopo essersi opposta a un matrimonio combinato, “affonda in una temibile sinergia – si legge nell’ordinanza – tra i precetti religiosi e i dettami della tradizione locali (che arrivano a vincolare i membri del clan ad una rozza, cieca e assolutamente acritica osservanza pure della direttiva del femminicidio)”.

“Mamma lo sposo è troppo grande per me”

“Parlando con mia madre le dicevo: dai mamma, tu sei una mamma, lui è troppo grande per me, anche lui non vuole sposarsi con me. Lei mi rispondeva che non è una decisione mia”. Sono le commoventi parole che Saman Abbas ha affidato ai carabinieri, che la sentirono il 3 febbraio, mentre, già maggiorenne, era ancora affidata a una comunità protetta. A novembre, da minore, infatti la giovane pachistana era stata allontanata dalla casa familiare di Novellara (Reggio Emilia) in quanto aveva denunciato che i familiari la volevano far sposare in patria un cugino di 11 anni più grande di lei.

Le dichiarazioni sono riportate nell’ordinanza del tribunale del Riesame di Bologna, che ha respinto il ricorso del cugino Ikram Ijaz, in carcere per l’omicidio in concorso con un altro cugino, lo zio e i genitori, tutti latitanti. “Dal primo momento in cui ho saputo che la loro intenzione era quella di farmi sposare con mio cugino, io ho detto di non volerlo fare”, ha aggiunto. Saman ha raccontato anche le violenze subite dal padre Shabbar: “Le reazioni di mio padre erano violente a livello fisico. Mi picchiava. Una volta, 5 mesi fa, ha lanciato un coltello nella mia direzione e non ha colpito me, ma mio fratello che aveva 15 anni, ferendolo a una mano”. E poi, “mi picchiava perché io volevo andare a scuola, ma lui non voleva”.
 

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Ikram Ijaz, cugino di Saman  e unico arrestato tra i cinque indagati per l’omicidio della pakistana, partecipò alla fase preparatoria del delitto, scavando la buca il 29 aprile. Poi la notte tra il 30 e il primo maggio arrivò a casa degli Abbas al seguito dell’autore dell’omicidio, Danish Hasnain, con l’altro cugino Nomanhulaq Nomanhulaq che, come lui, aveva partecipato alla fase preparatoria. Per questo, secondo il tribunale del Riesame che ha respinto il suo ricorso, “l’ipotesi più probabile e qualificata è che” i due cugini “abbiano anche partecipato alla materiale esecuzione dell’omicidio”, dando man forte a Danish Hasnain.

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La fuga insieme conferma la complicità

Secondo il Riesame contro Ijaz c’è anche un altro elemento “di fortissima valenza indiziaria” e cioè “la subitanea fuga all’estero”, del 6 maggio. Ikram infatti è stato arrestato in Francia, mentre l’altro cugino, lo zio e i due genitori, tutti accusati di omicidio premeditato e sequestro di persona, sono ancora latitanti. Che sia fuggito verso Ventimiglia prima Danish e che poi Ijaz e Nomanhulaq l’abbiano raggiunto dopo, poco rileva. Infatti, che sia fuggito insieme a Nomanhulaq e che abbiano raggiunto Hasnain “avvalora ulteriormente una situazione di complicità tra i tre”. La fuga è infatti “priva di qualsiasi spiegazione” non strettamente motivata “dalla corresponsabilità nell’omicidio e dalla conseguente necessitù di sottrarsi al perseguimento di tale delitto”. Non è dato comprendere, argomentano i giudici, perché, se innocente, Ikram abbia rinunciato improvvisamente e senza contropartita alcuna, a un lavoro regolarmente retribuito, per di più senza avvertire il datore di lavoro.

La spiegazione poi data da Ikram sul fatto che il 29 aprile, quando i tre sono stati ripresi con pale e piede di porco, dovevano fare lavori di pulizia di una canalina è stata smentita dal datore di lavoro e da un’altra testimone, con cui avrebbe detto di aver parlato. Il fratello minorenne di Saman ha poi riferito che la sera del 30, dopo lo zio, nella casa degli Abbas arrivarono anche i cugini, “unendosi al collettivo pianto e disperazione per le sorti di Saman”. Quando Saman sarebbe stata aggredita, poco dopo la mezzanotte, secondo gli inquirenti dallo zio Danish, per il fratello non erano presenti i cugini. Ma in una chat agli atti è lo stesso zio a dire a un conoscente: “Abbiamo fatto un bel lavoro”, al plurale, osserva il tribunale.

Dal cugino nessun segno di commozione

Dalle dichiarazioni fatte dal cugino , Ikram Ijaz, “non è emerso il benché minimo senso di commozione per la terribile sorte della povera giovane che pure è una sua parente, il benché minimo rimprovero per chi un tale gesto” ha compiuto, né il minimo dubbio “sulla correttezza etica di quei dettami della tradizione in ossequio ai quali l’omicidio è stato commesso”. E’ quanto osserva il tribunale del Riesame di Bologna, che ha respinto il ricorso dell’indagato per l’omicidio della 18enne pachistana, che si era opposta a un matrimonio combinato e il cui corpo non è stato trovato.
Per i giudici del Riesame, che hanno confermato l’ordinanza del Gip, il pachistano 29enne ha fatto propri “i motivi a delinquere del coindagato in ipotesi più pericoloso e temibile”, cioé lo zio di Saman, Danish Hasnain. “Si è dunque al cospetto di una vicenda rivelatrice di totale caduta delle basilari spinte criminorepellenti”. Lungi dall’aver agito sotto l’impulso di un movente difficilmente riproducibile, Ikram Ijaz “si è posto freddamente e fedelmente al servizio di un feroce assassino mosso dalla tradizione culturale e religiosa che lui stesso condivide”.

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