PALERMO – Da domani in Sicilia le mascherine torneranno obbligatorie anche per strada. Ma la zona gialla, la prima d’Italia nella regione ultima per vaccini e prima per contagi, è un fallimento annunciato. Già da una settimana 55 comuni dell’Isola con pochi immunizzati, hanno abbandonato il bianco: sulla carta, in virtù di un’ordinanza del presidente della regione Nello Musumeci, tutti avrebbero dovuto indossare i dispositivi di sicurezza all’aperto e sedere al ristorante al massimo in quattro. Ma chi controlla? A Terrasini, per dire, di vigili neanche l’ombra: niente mascherine né in spiaggia né nei viali affollati di turisti. Lo stesso accade a Pantelleria, l’isola dei vip, sold out da settimane: nei dammusi si fa festa fino a tardi. L’assessore alla Sanità Ruggero Razza allarga le braccia: «Di certo l’assenza di controlli non si può addebitare al governo: mi rendo conto che anche i prefetti però sono in difficoltà». E poi ammette: «La zona gialla comunque non serve a niente». Vallo a spiegare ai ristoratori di nuovo alle prese col Tetris dei tavoli.
Ma come è nato il caso Sicilia? Di chi è la responsabilità del picco dei contagi che dal 13 agosto superano ogni giorno quota mille? A inizio luglio erano appena 58. Chi ha controllato durante l’estate del boom i porti e gli aeroporti? I tamponi sono obbligatori solo per chi arriva da sette Paesi e non c’è l’obbligo di farli appena atterrati ma, genericamente, entro qualche ora: e così moltissimi si disperdono. All’aeroporto di Palermo, che ad agosto ha registrato 700mila transiti, i tamponi sono stati poco più di 20mila. Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando parla di «evidente insufficienza e non capillarità di organizzazione sanitaria regionale». Più di un siciliano su tre, il 36,3 per cento, non è vaccinato. In 160 comuni, il 41 per cento, i residenti immunizzati sono meno di 3 su 5: tra questi c’è persino un capoluogo di provincia, Messina. E così solo il 55,2 per cento dei siciliani ha diritto al Green Pass contro una media nazionale del 62,2.
A sentire Razza — l’assessore alla Sanità fedelissimo del governatore Musumeci, ripescato quando l’inchiesta sui morti «spalmati» si è ridimensionata — di colpe la Regione non ne ha: «La Sicilia è solo la prima regione e non sarà l’unica: siamo un territorio vasto, abbiamo avuto un boom di turisti. Adesso spingeremo sulle vaccinazioni». Il il 90 per cento dei ricoverati in terapia intensiva — balzati all’11 per cento dei posti disponibili — non è immunizzato. La campagna vaccinale in Sicilia non ha funzionato. «Colpa della paura di Astrazeneca — dice Razza — Ma anche di una minore percezione del pericolo». Nessun accenno al fatto che adesso la Regione sta cambiando strategia: non più grandi hub vaccinali — d’estate rimasti deserti — ma task force di medici di base, pediatri e istituzioni locali direttamente nei comuni con pochi vaccinati, che sono tantissimi. Misura, questa, che il comitato tecnico scientifico siciliano chiedeva da tempo. Ignorato. Il Cts aveva contestato anche l’ordinanza che una settimana fa aveva istituito la zona gialla in 55 comuni e che adesso lo stesso Razza definisce inutile. Per Antonello Giarratano, presidente della società italiana anestesisti rianimatori, componente del Cts e direttore della Terapia intensiva del Policlinico di Palermo, la Sicilia può evitare il peggio solo cambiando subito strategia: «Se siamo arrivati a questo punto, la colpa è di misure troppo blande e di un’assoluta carenza di controlli. Servono ordinanze restrittive serie, da arancione a rosso, in quei 70-80 comuni che stanno affossando l’Isola con contagi fuori controllo».
Gli ospedali sono il termometro della crisi e proprio il Policlinico di Palermo da una settimana ha sospeso i ricoveri ordinari. Al pronto soccorso Covid del Cervello di Palermo, i ricoveri sono da 10 a 18 al giorno e adesso arrivano anche i bambini. «Si ammalano soprattutto i non vaccinati tra 50 e 70 anni, molti fragili — dice la responsabile Tiziana Maniscalchi — Ma non solo: in terapia sub intensiva adesso ci sono tre fratelli, tutti non vaccinati. I bambini in forme non gravi finora. Come siamo arrivati a questo punto? Abbiamo aperto a tutti».
Il rischio concreto è di un passaggio in arancione tra due settimane. La Regione lo sa bene, tanto che venerdì dalla Sanità è arrivata l’indicazione ai manager di caricare sulla piattaforma anche i posti letto non ancora attivi ma attivabili in 48 ore, come le sale operatorie. Che fine hanno fatto invece i nuovi posti letto annunciati dal governo a inizio pandemia? Sulla carta dovevano esserne realizzati 571 tra Rianimazione e terapia sub intensiva. Ce ne sono ancora solo 80.