La foto nella luce verdastra che lo ritrae nella notte mentre per ultimo lascia Kabul lo ha trasformato in un’icona mondiale. E ha spinto molti a cercare notizie sulla biografia del generale Christopher Donahue, comandante dell’82ma divisione aerotrasportata. Il curriculum ufficiale però è insolitamente arido: cita le scuole di specializzazione, le lauree, le medaglie ma non fornisce dettagli sulle sue 17 missioni all’estero. C’è solo un punto fermo, reso noto dallo stesso Donahue: “Sono stato mandato in combattimento con ogni grado, da capitano a generale a due stelle”.
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Il mistero è stato svelato ieri dall’Army Times: gran parte del passato di Donahue è “top secret”, perché avvenuto nella Delta Force, uno dei reparti più segreti e più famosi al mondo. Si tratta di un corpo militare leggendario, raccontato in film, serie televisive e caterve di volumi. Ufficialmente venne creato nel 1977, cercando di imparare dalla lezione della disfatta in Vietnam e creare squadre d’assalto in grado di fare la differenza soprattutto nelle campagne contro la guerriglia: uomini addestrati a compiere azioni estreme, destinate a restare nel silenzio.
La prima prova però si è rivelata un disastro: hanno preso parte al blitz per liberare gli ostaggi nell’ambasciata di Teheran, ma durante il rifornimento notturno nel deserto un aereo e un elicottero si sono scontrati e hanno preso fuoco. Quel fallimento ha avuto un peso determinante sulla fine della presidenza di Jimmy Carter.
Da allora è cambiato tutto. I raid si sono moltiplicati, in tutti i paesi del mondo. Celebre quello di Sigonella, quando l’11 ottobre 1985 la Delta Force armi alla mano cercò di farsi consegnare i palestinesi responsabili del dirottamento dell’Achille Lauro e dell’assassinio di un disabile americano, Leon Klinghoffer. Sulla pista dell’aeroporto catanese i carabinieri bloccarono i commandos americani, eseguendo gli ordini del premier Bettino Craxi e impedendogli la cattura dei terroristi, a cui il governo italiano aveva garantito la fuga. Il più raccontato forse è quello di Mogadiscio, quando una squadra si è sacrificato per soccorrere gli elicotteristi abbattuti nel giorno nero di “Black Hawk Down”.
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Donahue si è arruolato molto più tardi, nel 1992. Nove anni dopo, la mattina dell’11 settembre, era l’assistente – in Italia viene chiamato “aiutante di campo” – del numero due delle forze armate statunitensi, il generale Richard Myers. Appena è arrivata la notizia dell’attacco alle Torri Gemelle, ha interrotto bruscamente la riunione del suo superiore con un senatore della Georgia, informandolo. Pochi minuti dopo, anche il Pentagono è stato colpito: l’America era in guerra. Poiché il comandante in capo era in volo, Myers ha preso le redini di tutta la risposta militare americana. E Donahue era al suo fianco.
Come tanti, il giorno dopo Donahue si è offerto volontario per la prima linea. Aveva già superato la terribile selezione che a Fort Bragg lo aveva fatto entrare nei ranghi dei Berretti Verdi, affrontando successivamente il corso ancora più duro per avere la qualifica di incursore. Ed è subito tornato al fronte con la Delta Force.
Lì Donahue ha salito tutto la scala gerarchica. Ha cominciato dal gradino più basso, quello di “operatore”: nelle forze speciali infatti anche gli ufficiali devono dimostrare sul campo di essere veri incursori, capaci della stessa resistenza fisica e psicologica, di lanciarsi con il paracadute da altissima quota o di nuotare sott’acqua per chilometri, di sapersi orientare nei deserti e guidare ogni tipo di veicolo, di sparare con enorme precisione e maneggiare qualunque esplosivo.
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Nel 2004 in Iraq ha ottenuto il comando di un singolo plotone d’assalto, lanciato nelle strade del “triangolo della morte” per individuare i covi di Al Qaeda. Ed è stato successivamente promosso alla testa di un intero squadrone, proprio nel Nord dell’Afghanistan, la regione cruciale dove i talebani stavano riorganizzando i loro manipoli. Quindi è stata la volta del vertice della “Comunità”: il Joint Special Operations Command che dirige tutte le forze speciali statunitensi, dalla Delta Force ai Seal della Marina. All’interno di questo comando, Donahue ha pianificato le missioni più delicate e segrete degli Usa nella guerra globale al terrorismo.
Ottenuta la prima stella di generale, si è insediato nella base di Bagram – il colossale aeroporto fortificato a 40 chilometri da Kabul, abbandonato a luglio dagli Usa – per gestire tutti i commandos attivi in Afghanistan. Oltre a fronteggiare i talebani, è stato lui a dare la caccia ai miliziani dell’Isis-K, mandando i suoi uomini a stanarli nei rifugi sulle montagne al confine pachistano e nelle strade di Jalalabad. Si stima che questi raid abbiano dimezzato le brigate del Califfato afghano, “eliminando” 2 mila jihadisti in tre anni.
Un anno fa infine con la seconda stella gli è stata affidata la 82ma divisione: i paracadutisti che restano sempre in allerta, pronti in 18 ore a prendere posizione in qualsiasi angolo del pianeta. Il 17 agosto si sono schierati sull’aeroporto di Kabul, coordinando il più massiccio e difficile ponte aereo della storia recente: 79 mila persone, in gran parte afghani, sono state evacuate in meno di due settimane.
C’è chi scommette che la sua conoscenza del nemico si sia rivelata decisiva per le trattative last minute con i talebani vittoriosi, cercando di garantire il rimpatrio dei cittadini Usa e dei loro collaboratori afghani. Ma non è riuscito a impedire che un kamikaze dell’Isis si facesse saltare in aria, uccidendo 13 marines.
Tutti gli analisti sono convinti che difendere l’aeroporto era una missione impossibile: bisognava scegliere tra la sicurezza e l’accoglienza. E fino all’ultimo momento, Donahue ha privilegiato la seconda, nella consapevolezza che il rischio sarebbe stato enorme.