L’Italia ha deciso di armare i suoi droni Reaper, trasformando così gli aerei senza pilota da ricognizione in bombardieri teleguidati. La scelta del ministero della Difesa – anticipata dal mensile specializzato Rid – è stata presentata nel Documento programmatico pluriennale redatto nello scorso luglio, che contiene i piani di sviluppo delle forze armate. All’interno del documento l’iniziativa di armare i droni è stata “mimetizzata” usando vari sinonimi e termini tecnici. Il capitolo che la descrive – ad esempio – è stato intitolato “Aggiornamento del payload MQ-9”, dove MQ-9 è la sigla che indica i droni Reaper. E spiega: “In particolare, il velivolo garantirà incrementati livelli sicurezza e protezione nell’ambito di missioni di scorta convogli, rendendo disponibile una flessibile capacità di difesa esprimibile dall’aria. Introdurrà, inoltre, una nuova opzione di protezione sia diretta alle forze sul terreno che a vantaggio di dispositivi aerei durante operazioni ad elevata intensità/valenza”. L’operazione – che prevede anche un aggiornamento dei sensori e degli apparati di trasmissione – prevede l’investimento di 168 milioni di euro.
Errori e vittime
Concretamente, l’Italia decide di dotarsi del sistema d’arma più discusso di questi decenni, protagonista della “guerra globale contro il terrorismo” come esecutore degli attacchi contro i leader di Al Qaeda e Isis, ma anche responsabile di errori che hanno provocato centinaia di vittime innocenti e creato situazioni di grande tensione tra gli Stati Uniti e alcuni Paesi, come il Pakistan.
In Afghanistan e Iraq
La nostra aeronautica è stata tra le prime a mettere in linea droni da ricognizione, acquistando prima i Predator e poi i più potenti Reaper. Un modello quest’ultimo concepito per i raid killer: il nome infatti vuole dire “Falciatore”. I velivoli senza pilota sono stati schierati in Afghanistan e in Iraq, limitandosi a osservare e filmare. Nel 2010 – durante il momento di massimo impegno militare italiano contro i talebani – venne chiesto al governo americano l’autorizzazione per armare i nostri Reaper, ma la domanda fu inizialmente respinta: all’epoca la tecnologia era ancora top secret. Il via libera è arrivato solo alcuni anni dopo, quando però con la riduzione delle attività militari all’estero non era più considerata prioritaria. Adesso invece le lezioni degli ultimi conflitti – in particolare in Libia e nel Nagorno Karabach – avrebbero spinto lo Stato maggiore a procedere con l’armamento degli aerei teleguidati. Anche perché il mercato è invaso di droni lanciamissili prodotti da Israele, Cina e Turchia.
Non è stato specificato il tipo di ordigni che verranno acquistati dal nostro Paese. In genere i Reaper statunitensi utilizzano missili Hellfire a guida laser e bombe “chirurgiche” ma esiste la possibilità di dotarli anche di missili di progettazione israeliana o britannica.