Hanno tutti ragione/Non dire, non chiedere: l’oscenità dei fascisti nelle liste della destra

Read More

Candidati fascisti, candidati antisemiti, candidati con tatuaggi nazisti, candidati presi a noleggio da formazioni come Casapound o Forza Nuova. Il campionario è ricco, l’imbarazzo di chi li presenta in lista tardivo e ipocrita. C’è un problema con la lettera f – f di fascismo – nella politica e la destra italiana ormai da decenni è l’unica in Europa che non fa argine, anzi imbarca, ammicca, tollera, sdogana. Si segnala ovviamente Fratelli d’Italia, il partito erede del MSI che è nato per cancellare la svolta di Fiuggi, con la quale Gianfranco Fini cercò di traghettare il postfascismo italiano nel campo del conservatorismo e del liberalismo, e per tornare di fatto ai tempi di Almirante nel rapporto con le origini: non rinnegare, non restaurare.

Ma anche la Lega di Matteo Salvini ha con il neofascismo un rapporto spregiudicato. La giustificazione, di solito, è questa: siccome non siamo fascisti, non chiedeteci anche di essere antifascisti. Lo ha spiegato bene Giorgia Meloni nella sua autobiografia di successo. Questo è il giochino dialettico nel quale si rifugiano i livelli più alti (nemmeno sempre, prima di essere eletto l’attuale presidente della Regione Marche partecipò allegramente a una cena di commemorazione della marcia su Roma, solo per fare un esempio). Ai livelli più bassi, i più fanatici e nostalgici si sentono comunque a casa nel professare il loro mussolinismo, né quest’ultimo ispira rigetto ai vertici. Al contrario, si pesca in questi ambienti perché comunque intercettano un consenso, minoritario ma drammaticamente reale, nelle curve, nei quartieri, sui luoghi di lavoro. E comunque resta la tacita appartenenza a un comune album di famiglia a cementare il sodalizio elettorale.  

“Don’t ask, don’t tell” è stato per anni il motto con il quale l’esercito americano tollerava l’omosessualità nelle proprie file. Non dire, non chiedere. Con i candidati “neri” il meccanismo è simile, diverso l’obiettivo: lì si trattava di tollerare ipocritamente, qui si tratta di coprire con dolo. Quindi i fan del Duce si premurano di non dichiarare pubblicamente la loro fede ideologica, al punto che un tatuaggio pro SS viene spacciato per un tattoo animalista (è successo a Roma) e il partito fa finta di non vedere, non chiede. Perché al partito va bene così.

Per ricevere “Hanno tutti ragione” ogni venerdì e scoprire tutte le newsletter di Repubblica, visita questa pagina.

Related articles

You may also be interested in

Headline

Never Miss A Story

Get our Weekly recap with the latest news, articles and resources.
Cookie policy

We use our own and third party cookies to allow us to understand how the site is used and to support our marketing campaigns.