Installata e poi rimossa: è un caso la statua del piccolo Di Matteo al Comune di San Giuseppe Jato

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San Giuseppe Jato — Non c’è pace per il piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito che Cosa nostra rapì e poi sciolse nell’acido, l’11 gennaio 1996. Non c’è pace neanche da morto. La bella statua in bronzo che lo ricorda è avvolta da un lenzuolo bianco, all’ingresso della Casa del fanciullo di Giuseppe Jato, sede del Comune. Dice lo zio Nunzio: «Il 30 luglio, il commissario della Regione Salvatore Graziano aveva dato il via libera all’installazione, poi nei giorni scorsi ci ha chiamato per dire che dovevamo toglierla. Ma io non ho alcuna intenzione, quella statua resta lì».
Abbiamo alzato quel lenzuolo, la statua raffigura un bambino vestito da fantino, un’opera dell’artista corleonese Nicolò Governali. Che sta succedendo a San Giuseppe Jato?

Il commissario Graziano non è più a capo dell’amministrazione comunale, perché intanto si sono insediati i tre commissari nominati dal consiglio dei ministri dopo lo scioglimento per il rischio di infiltrazioni mafiose. Abbiamo cercato Graziano al telefono, ha tenuto a precisare: «Ho subito accolto l’iniziativa della famiglia Di Matteo, ma ci vuole una delibera per sistemare quella statua in Comune, che non è certo una casa privata». Non lo sapeva prima che era necessaria una delibera? Il dottore Graziano dice: «In questa vicenda non sono stato supportato bene dagli uffici comunali. Ho comunque già parlato coi nuovi commissari. Il tempo di fare tutti gli adempimenti e poi la statua tornerà al suo posto». E, intanto, la statua resta coperta da un lenzuolo bianco. Con un’ingiunzione di sfratto. «Che pena», dice lo zio Nunzio. «Ma perché è ancora così difficile ricordare un bambino ucciso dalla mafia?».

Nunzio Di Matteo lavora al Provveditorato Opere pubbliche: andò via dalla Sicilia nel 1988, qualche tempo dopo vinse un concorso al ministero dei Lavori pubblici, è rimasto a Roma fino al 2014. «Io ho preso una strada diversa da mio fratello — dice — ho sempre lavorato, anche da ragazzo, posso andare a testa alta. Il mio impegno è ormai quello di custodire la memoria di Giuseppe». Memoria coperta da un lenzuolo a San Giuseppe Jato, il paese di Giovanni Brusca, il capomafia oggi collaboratore di giustizia (tornato libero) che ordinò la morte del bambino dopo 779 giorni di prigionia. Giuseppe aveva 14 anni. «Mi ero rivolto anche al Comune di Altofonte, il paese della nostra famiglia — Nunzio Di Matteo è un fiume di parole, è arrabbiato — il sindaco mi aveva detto che avrebbe accolto la statua in un plesso scolastico, ma senza la targa, che dice: “Io vivo in voi che credete nella giustizia e avete fede in Dio”. Ma cosa c’è di male in questa targa?. Mi è sembrata una scusa. E mi sono rivolto al Comune di San Giuseppe Jato, che gestisce il giardino della memoria, il casolare dove fu ucciso mio nipote. Ma, evidentemente, la memoria di Giuseppe è ancora scomoda».

Ora, questa statua coperta all’ingresso della sede comunale attira tanta curiosità. Anche i nuovi commissari hanno chiesto cosa fosse. E scoperto il pasticcio burocratico, stanno cercando di risolvere la situazione. Che non è più solo una questione di carte: «È una ferita aperta — dice lo zio del bambino — il giorno in cui siamo stati invitati dal commissario Graziano a sistemare la statua, era presente pure il geometra del Comune, ci hanno indicato anche un marmista in paese per sistemare la base dell’opera. Toglierla vorrebbe dire danneggiare il lavoro dell’artista Governali». Insomma, un gran pasticcio dell’antimafia. «Ma anche l’antimafia deve rispettare le regole — osserva Salvatore Alamia, storico esponente della sinistra siciliana, oggi animatore del gruppo Rinasce San Giuseppe Jato — il Comune è un luogo pubblico, e come tale sarebbe stato necessario predisporre una delibera e chiedere gli opportuni pareri prima dell’installazione».

E, adesso, che succede? Bisogna prima accettare formalmente la donazione, poi è necessario predisporre le altre autorizzazioni. «Avevo offerto la statua anche al presidente Musumeci, per il giardino antistante Palazzo d’Orleans — racconta Nunzio Di Matteo — un suo assistente ci ha fatto sapere che non possono accettarla, anche altre vittime della mafia hanno offerto qualcosa, non è possibile fare discriminazioni». In attesa che la matassa venga sciolta restano le parole dell’artista Nicolò Governali. Non vuole entrare nelle polemiche, dice soltanto: «Giuseppe rappresenta ognuno di noi. Non ha avuto alcun contatto diretto con la mafia, ma ha subito un danno dalla mafia. Il problema mafia riguarda ancora tutti».

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