Gerusalemme – Al quinto giorno dall’evasione di sei prigionieri palestinesi dal carcere di massima sicurezza Gilboa, continua la caccia all’uomo. Due sono stati arrestati, mentre la tensione cresce in tutti i poli caldi, da Gerusalemme alla Cisgiordania alla Striscia di Gaza, dove Hamas e la Jihad Islamica hanno dichiarato per oggi una “giornata della collera” a sostegno dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane.
Nel pomeriggio un palestinese ha tentato di accoltellare un soldato nei pressi della Porta dei Leoni in città vecchia a Gerusalemme. È rimasto ucciso a colpi di fuoco delle forze di sicurezza, il soldato ha subito ferite lievi. Muhammad Hamada, il portavoce di Hamas per Gerusalemme, ha elogiato l’attentato, definendolo un “avvertimento al nemico sionista che ci saranno ancora molti atti di resistenza e scontro”.
La caccia all’uomo
Nei giorni scorsi la polizia penitenziaria – nell’occhio del ciclone per le numerose falle del sistema che hanno permesso la fuga, oggetto di un’inchiesta avviata dal ministro degli Interni – ha effettuato diversi trasferimenti di detenuti della Jihad Islamica, incontrando vere e proprie rivolte nelle carceri: almeno tre celle sono state date alle fiamme.
La ricerca degli evasi – cinque appartenenti alla Jihad Islamica e uno alla Brigate dei Martiri di Al Aqsa affiliate a Fatah, tutti condannati per coinvolgimento in atti terroristici – continua con enorme dispiegamento di forze. Le forze di sicurezza israeliane ne hanno catturato due nella zona di Nazareth, ma pochi dettagli trapelano alla stampa.
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Due giorni fa, sono stati arrestati tre arabi israeliani in una cittadina a pochi chilometri dal carcere, presumibilmente accusati di aver fornito la prima assistenza ai fuggitivi. Anche alcuni parenti degli evasi sono stati fermati in questi giorni. Lo Shabbak (l’intelligence che opera nei Territori Palestinesi) ha di certo la sua rete di informatori, ma molto peso hanno i proclami dei leader di Hamas e della Jihad Islamica a non rivelare nessun dettaglio che possa incastrare i fuggiaschi, con tanto di minacce di ritorsioni.
La fuga dal carcere di massima sicurezza
Secondo alcune valutazioni, il gruppo si sarebbe separato e alcuni sarebbero ancora in territorio israeliano. Israele spera – e con essa anche l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) – che non siano riusciti a raggiungere il campo profughi di Jenin, la roccaforte del detenuto delle Brigate di Al Aqsa Zakaria Zubeidi (probabilmente coinvolto dai “rivali” della Jihad Islamica per i suoi contatti sul territorio): se così fosse, un tentativo di arresto difficilmente non si ridurrebbe in un bagno di sangue.
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Si tratta di un’area dove è impossibile anche alle forze di sicurezza dell’Anp accedere, in cui sono asserragliati centinaia di uomini armati e dove in questi giorni stanno confluendo sempre più milizie armate. “Se l’esercito entra a Jenin, incontrerà una risposta di fuoco”, hanno anticipato esponenti della Jihad Islamica martedì.
Gli scontri sulla Spianata delle Moschee
Oggi ci sono stati diversi scontri tra manifestanti palestinesi e soldati israeliani in alcuni punti in Cisgiordania, così come fuori dalla Moschea di Al Aqsa dove la folla inneggiava a Hamas. Alcuni brandivano cucchiai – lo strumento con cui forse gli evasi hanno scavato parte del tunnel di fuga – un’immagine diventata virale sui social. Per ora non si sono registrati incidenti significativi. Ma l’allerta rimane alta.
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In molti in questi giorni ricordano quello che fu il maggiore fallimento della polizia penitenziaria, fino a lunedì: l’evasione di sei detenuti palestinesi, affiliati con la Jihad Islamica, dal carcere di Gaza, nel 1987 (ironia della sorte: il ministro responsabile per le forze di polizie allora era Haim Bar-Lev, padre dell’attuale ministro dell’Interno). Le ricerche durarono settimane e cinque evasi su sei rimasero uccisi negli scontri con le forze israeliane, oltre a un agente israeliano.
“L’audacia della fuga alimentò l’aura di eroismo intorno alla Jihad Islamica e le gesta dei fuggiaschi si trasformarono nel fiammifero che incendiò i pagliai della rabbia e dell’umiliazione”, scrive il noto giornalista Ehud Yaari nel suo libro Intifada del 1990. Da lì a poco, sarebbe scoppiata la prima Intifada.