Smart working nella Pubblica amministrazione, pronta la legge per riportare i dipendenti in ufficio

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ROMA – Tutti in ufficio, ma con il Green Pass. Solo dopo l’estensione a tutti i dipendenti dell’obbligatorietà del certificato verde, infatti, potrà essere promulgato il Dpcm preparato dal ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta che farà tornare il lavoro in presenza la modalità ordinaria degli uffici pubblici.

Lo conferma anche il sottosegretario alla Salute Andrea Costa: “Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione, se lo smart working è stato uno strumento fondamentale nel momento più complicato del nostro Paese, credo che oggi dobbiamo creare le condizioni per tornare a lavorare in presenza e il Green Pass è uno strumento efficace per raggiungere questo obiettivo”.

Le nuove quote di smartworking, dopo la promulgazione del Dpcm, dipendono da quello che ogni dirigente stabilisce con i Pola, i piani per il lavoro agile introdotti dal precedente ministro, Fabiana Dadone, e che inizialmente parlavano di una quota del 50% di lavoratori in smart working e del 60% a regime. Adesso la soglia minima è invece del 15%, e scatta anche quando le amministrazioni scelgono di non redigere alcun Pola. Tutte le altre regole, dall’orario di lavoro alle fasce di reperibilità al pagamento di buoni pasto e straordinari, sono demandati alla contrattazione con i sindacati.

In ordine di tempo i primi a esordire saranno ministeri e agenzie, le funzioni centrali: le prime modalità verranno definite già la prossima settimana, in un incontro all’Aran, l’agenzia pubblica che si occupa di discutere e redigere i contratti con i vari settori della Pubblica Amministrazione.

L’orientamento è quello di favorire il lavoro da remoto dei più fragili, ma al momento, in costanza di stato di emergenza, lo smart working potrebbe anche essere applicato a chi sceglie di non vaccinarsi. L’ambizione, però, come ha anticipato il ministro Brunetta che ha definito al question time alla Camera di qualche giorno fa le modalità attuali di lavoro agile come “lavoro a domicilio all’italiana”, è quella di programmare uno smart working che veramente consista in un lavoro per obiettivi, e non soltanto in un lavoro da casa. Modalità che al momento non è possibile attuare, spiega il presidente dell’Aran Antonio Naddeo, va regolata: “Solo il lavoro dei dirigenti si misura sugli obiettivi. Per gli altri dipendenti, vanno stabilite le modalità”.

La bozza consegnata dall’Aran ai sindacati prevede poi, per quanto riguarda la materiale organizzazione della giornata di lavoro, una fascia oraria obbligatoria, una semplicemente di reperibilità e una di non lavoro, in cui pertanto agirebbe pienamente il diritto di disconnessione. Cambiano poi gli istituti economici: i buoni pasto non verranno più erogati (finora ogni amministrazione ha deciso in autonomia di farlo o non farlo), e non verranno pagati gli straordinari, ma si potrebbe pensare a un rimborso forfettario delle spese che il lavoratore sostiene per le connessioni e per l’energia elettrica.

Proprio sui diritti economici però in queste ore è in atto uno scontro con parte dei sindacati. In seguito ad alcuni incontri si era stabilito che i risparmi che alcune amministrazioni hanno realizzato proprio grazie allo smart working, a partire proprio dal mancato pagamento di buoni pasto e straordinari, andassero subito distribuiti ai dipendenti sotto forma di ristori delle spese affrontate per il lavoro da casa di questi mesi. In particolare si era raggiunto un accordo di massima all’Inps e all’Agenzia delle Entrate ma, contesta la Flp, la “Funzione Pubblica oggi ha bocciato la preintesa di luglio”: “Si va così a sanzionare il lavoro in smart working nelle due amministrazioni pubbliche che ne hanno fatto l’uso migliore – obietta il segretario del sindacato, Marco Carlomagno – l’una erogando contributi a fondo perduto e rimborsi, l’altra smaltendo milioni di pratiche di cassa integrazione per il Covid”.

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