Tennis, per Djokovic niente Grande Slam: Medeved vince gli Us Open

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New York – Niente Grande Slam. Niente appuntamento con la storia. Nole Djokovic si sfarina all’ultimo metro, finendo travolto per tre set a zero, 6-4 6-4 6-4, in due ore e 15 minuti, battuto dal numero due al mondo, Daniil Medvedev. Il russo sembrava l’avversario perfetto per chiudere una stagione fantastica, vincendo tutti e quattro i major in un solo anno. La serie era cominciata a febbraio, in Australia, con un tre a zero inflitto proprio al russo. Il cerchio non si è chiuso, anche se tutto sembrava indicare il contrario.

Già all’ingresso in campo dei due tennisti, con i cori per Nole, il pubblico dell’Arthur Ashe aveva chiarito per chi battesse il suo cuore. A parte il vecchio Rod Laver, ospite nel box presidenziale, l’unico a vincere un Grande Slam, l’ultimo nel ’69, e una minoranza di tifosi russi, tutti gli altri volevano assistere alla cordiale demolizione dell’ultimo ostacolo rimasto tra l’en plein – mai riuscito neanche a Roger Federer e Rafa Nadal – e il padrone del tennis.

Il serbo aveva finalmente l’occasione di dimostrare perché ci fossero voluti 52 anni per conquistare un Grande Slam. I newyorkesi lo hanno sostenuto con un tifo che sembrava il San Paolo al tempo di Maradona. Lo hanno preso per mano quando il russo, dopo due ore e cinque minuti, ha avuto la palla del 6-2 e ha finito per infilare due doppi fallo e perdere il servizio, il primo di tutta la partita.

Nessuno voleva andare a casa presto, con ancora la luce del pomeriggio dentro l’arena, senza niente in mano. Tutti ingredienti che, però, hanno fatto da ricostituente a un matto vero, il genio russo amante degli scacchi, uno che si nutre del tifo contro. Era successo due anni fa, quando era stato fischiato dal pubblico e lui li aveva ringraziati come gesto di sfida.

Dove sia nato il clamoroso corto circuito del numero uno sarà materia psichiatrica per i prossimi cinque anni, ma un indizio potrebbe essere stata quella frase pronunciata due giorni prima, quando Nole aveva detto che avrebbe giocato la finale degli Us Open come se fosse stata la sua ultima partita. Dichiarazione inusuale. Il sospetto è che Djokovic non sia riuscito a staccare il pensiero dal grande traguardo, dimenticando il fondamentale del fuoriclasse: concentrarsi solo sul prossimo punto. Medvedev, nel suo solito modo beffardo, ha accompagnato i suoi punti migliori, allargando le braccia per chiedere l’ovazione di gente che. non lo amava. Se Djokovic, come ha detto Andy Roddick, ti toglie prima le gambe e poi l’anima, il russo gli ha tolto gambe, anima, e anche il pubblico. Alla fine, tutto troppo facile. Può sembrare assurdo, ma non c’è stata partita e l’assente è stato il numero uno. 

Dopo Matteo Berrettini e Alexander Zverev, in semifinale il serbo si è trovato di fronte un altro avversario più alto e più giovane di lui e stavolta la differenza si è vista tutta.  

Già l’avvio era stato sorprendente: Medvedev era andato sul 2-0 con altre due palle break per il possibile 3-0. Nole aveva infilato una serie insolita di errori, tipo quattro di fila. Il russo è andato avanti con un servizo potente e preciso, senza scendere di livello, portandosi con un gioco a zero sul 5-3 e poi chiudendo con il quarto ace il set 6-4 in 36 minuti.

Per la quinta volta consecutiva Djokovic aveva perso il primo set in questo torneo. Ma era solo l’inizio. Gli altri due hanno seguito lo stesso andamento. Il secondo si è chiuso 6-4 in 54 minuti, con errore finale di Djokovic che ha mandato in corridoio una palla non troppo corta del russo.

Il terzo ha visto il semi-tracollo: lo sfidante è andato sul 4-0, poi sul 5-2, sul match ball, fino alla rimonta solo parziale del serbo.

Medvedev ha colpi inusuali, un modo poco ortodosso di preparare il dritto, priva di grande rotazione, ma il risultato è sempre stato affidabile: colpi regolari, facilità, grazie alle gambone di uno altro quasi due metri, anche facile il campo e rispondere al giocato vario del serbo.

Vent’anni fa, due giorni prima dell’attacco terroristico alle Torri gemelle, il protagonista della finale agli Us Open era stato un ragazzo di vent’anni, Leyton Hewitt, capace di battere Pete Sampras. Stavolta a smuovere le coscienze del pubblico è stato un vecchio torturatore di 34, reduce da 36 vittorie su 46 nei match a cinque set, mentre il russo aveva superato il serbo tre volte e sempre nei match a tre set.

Non era una semplice riduzione aritmetica. Sui cinque serviva la tenuta mentale di un serial killer. Per avere la meglio sul numero uno, il suo vice avrebbe dovuto giocare con coraggio tutta la partita, prendendo subito dei rischi, cercando di far perdere la pazienza a Nole. Da appassionato di scacchi, Medvedev doveva sommare la precisione mentale di gente come Garri Kasparov e Boris Spassky, per mettere il re in scacco. E’ tutto ciò che ha fatto in modo feroce. Quando Nole ha sparato in rete la pallina del match, il russo è crollato a terra come un bambino finalmente piombato nella felicità assoluta. Primo gesto umano della sua giornata mostruosa.

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