“Adesso Eitan è prigioniero, qui con le cuginette era tornato a vivere”

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PAVIA – Li chiama «la nostra tripla E». Giocavano come matti in questo giardino e quando avevano voglia di fare un saluto ai nonni correvano nel passaggio che collega le due case e se la spassavano anche di là, nell’altro fazzoletto di verde. «Le nostre tre E», ripete con tutta la dolcezza del mondo Aya Biran in fondo a un pomeriggio infinito, qui, nella villetta di Rotta di Travacò; qui dove Eitan è sparito sabato mattina sequestrato dal nonno materno Shmuel Peleg ora agli arresti domiciliari a Tel Aviv. “E” come Eleonora, 7 anni, Emilia, 6, e Eitan, stessa età. Le prime due sono figlie di Aya e del marito Or Nirko.

Cugini cresciuti insieme, Eitan arriva in Italia che è un cucciolo di un mese e 18 giorni. Asilo nido, scuola materna: il prossimo passo sarebbero state le elementari. «Eleonora, la più grande, gli aveva preparato i vestiti sulla scrivania nuova». Flashback: il 23 maggio la linea si spezza. Come i cavi della funivia del Mottarone. Divide il prima e il dopo. «Il 10 giugno Eitan è entrato nel nostro nucleo familiare, qui stava una meraviglia — racconta la zia a cui il tribunale di Torino ha affidato la tutela legale del bambino conteso — .

Quando lui finiva le terapie con l’équipe specializzata la “tripla E” si metteva a giocare: trampolino, saltarello, la casetta, la piscina d’estate. Abbiamo unito il passaggio tra i due cortili così i bambini vedevano sempre anche i nonni (paterni). Dormivano tutti e tre nella grande camera, il letto di Eitan è qui che lo aspetta insieme ai suoi giocattoli».

Aya ha il viso tirato di chi s’aggrappa alla forza di nervi e alla razionalità. «Non riesco a darmi pace, sarò tranquilla solo quando Eitan tornerà con noi». Chiamano gli avvocati, chiamano i cronisti, chiamano amici e parenti: è così da domenica. I due zii materni, Aya e Or, cercano di tenere botta al flusso ininterrotto di squilli. La telefonata più attesa, però, quella da Tel Aviv con la voce e magari il faccino di Eitan, ancora non è arrivata e chissà, forse sì, ma quando però, potrebbe arrivare dice l’avvocato israeliano, «Non so… non ho idea. Voglio vederlo, mi manca. Spero che le strade della politica e i tempi della giustizia non siano infiniti, spero che capiscano l’atrocità di quello che è successo».

Tutto quello che andava fatto la tutrice di Eitan e il suo battagliero marito l’hanno fatto: la cosa più importante è la doppia istanza presentata al tribunale di Tel Aviv e a quello italiano per chiedere di far rientrare Eitan in Italia sulla base della Convenzione dell’Aja che, all’articolo 29, consente al titolare del diritto di affido di «rivolgersi direttamente al tribunale competente per chiedere il rientro del minore sottratto, anche senza l’intermediazione delle autorità centrali». Che sia ancora un’«istanza prodromica», come spiega l’avvocata Cristina Pagni, poco importa: la strada è aperta, i canali diplomatici con Israele pure. Il punto, oggi, sembra un altro. Bisogna capire se e quando si schiuderà il muro che, al momento — al netto delle dichiarazioni concilianti dei legali dei nonni materni, Shmuel Peleg e la sua ex moglie Esther Cohen, anche lei indagata — continua a tenere distanti, non solo fisicamente, le due famiglie di Eitan. «Lo trattengono come i soldati dell’esercito israeliano sono tenuti prigionieri nelle carceri di Hamas». È andato giù durissimo Or Nirko in un’intervista a N12. Ha lanciato nuove accuse ai nonni materni, e un appello: «Ci dicano dove si trova — visto che abbiamo verificato che non è in ospedale — e come sta». Le rassicurazioni giunte sempre sui media israeliani dai Peleg («sta bene» ) non gli bastano.

Corriere di campioni biologici lui («trasporto cellule staminali e midollo osseo»), medico Sert in servizio al carcere di Vigevano lei: gli zii paterni di Eitan hanno entrambi capelli lunghi raccolti nella coda. «Non lavoro dal 23 maggio — dice Aya — . Il mio lavoro, da quando Eitan è arrivato da noi, è seguire i bambini. Vivo per loro. Siamo una famiglia e Eitan è cresciuto con noi. Mio fratello e sua moglie abitavano a 50 metri da qui, facevamo tutto insieme».

La camera di Eitan e delle sue cuginette. Uno zaino colorato. Una pila di quaderni. L’astuccio e i libri. Era tutto pronto per il ritorno a scuola del bambino sopravvissuto e conteso, lunedì, dopo la prima settimana di inserimento in laboratorio. Aya ha gli occhi lucidi. «Andremo fino in fondo, fino alla verità». Andrà in Israele? «Aspettiamo, vediamo prima che succede…». Alle 19.15 arriva la notizia della misura restrittiva per il nonno. «È un buon inizio — dice zio Or — . Spero che questa saga finisca al più presto».

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