Ue, Draghi blinda Lamorgese sui migranti e congela l’incontro a tre con Salvini

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La cena dell’Euromed è dedicata al nodo dell’immigrazione. E così, venerdì sera Mario Draghi spiega la sua posizione ai leader mediterranei riuniti ad Atene. Servono azioni concrete dell’Europa per fronteggiare la pressione migratoria proveniente dall’Africa del Nord. I Paesi del Sud possono premere insieme, in vista del Consiglio del 21 e 22 ottobre. Nel frattempo, l’Italia si concentra sul lavoro che serve a sbloccare i miliardi del partenariato che vuole dirottare soprattutto su Libia e Tunisa.  

La tela del capo dell’esecutivo guarda soprattutto a Francia e Spagna, in questa fase. E serve anche a ridurre la pressione interna sul tema migratorio. Da tempo, Matteo Salvini ha sollecitato un vertice a tre con Luciana Lamorgese. La convocazione spetta ovviamente a Draghi. Solo il premier, ammettono tutti i protagonisti di questa storia, può decidere se e quando far sedere attorno allo stesso tavolo la ministra e il segretario della Lega. Il fatto è che il presidente del Consiglio sembra orientato a non fissare – almeno per ora – l’incontro.

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di

Stefano Cappellini

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Troppo fitta l’agenda interna e internazionale. Troppo delicato il momento, perché sui migranti bisogna lottare in sede europea e a livello di G20. L’incontro è dunque di fatto congelato. E chissà se mai si farà. Sia chiaro, lo schema può cambiare in qualunque momento. Al premier bastano due telefonate mezz’ora prima per organizzare il mini vertice. In conferenza stampa non l’aveva nemmeno escluso. In passato, ha dimostrato di imporre brusche accelerazioni. Ma nulla, in queste ore, lascia preludere che sia questo il suo orientamento. Anzi, se finora non ha fissato l’appuntamento – che pure per diverse settimane è stato annunciato come imminente – è perché il numero uno dell’esecutivo inizia a ritenere sconveniente sottoporre la sua ministra dell’Interno a un passaggio del genere. Non è il momento, quantomeno. Non ha voglia di farla finire su un illegittimo banco degli imputati, né di esporla a qualche pubblica denuncia di Salvini. E anzi, più crescono gli attacchi contro la titolare del Viminale, meno sembra disposto a farlo. E poi, esistono sedi e “formati” ufficiali – a partire dalla cabina di regia, utile al confronto tra i ministri – che permettono alla Lega di far sentire le proprie ragioni su questi dossier.

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La linea della ministra è la linea del governo, d’altra parte. I suoi successi sono i successi dell’esecutivo, le eventuali difficoltà – in particolare quelle sulla gestione dei flussi – sono le difficoltà che deve affrontare anche chi guida Palazzo Chigi.  C’è poi da valutare anche un altro aspetto: il presidente del Consiglio lavora in queste settimane con Lamorgese proprio sul fronte migratorio. Venerdì, ad Atene, Draghi ha ragionato con i leader dei Paesi mediterranei della linea da tenere in sede europea per contenere i flussi e garantire solidarietà nell’accoglienza tra gli Stati membri. Quella che finora è mancata. L’appuntamento, che difficilmente risulterà decisivo, è come detto quello del Consiglio Ue, dove il premier ha chiesto di mettere all’ordine del giorno di quella riunione la discussione sulla riforma dell’immigrazione, arenata da molti mesi. Ma la coincidenza con le elezioni tedesche – che si terranno soltanto poche settimane prima – rischia di bloccare ancora ogni possibile avanzamento. Non sembra ancora il tempo di un via libera a un meccanismo automatico che distribuisca i migranti che approdano sulle coste mediterranee. Parallelamente – e su mandato di Draghi – Lamorgese tesse la tela con i partner continentali con cui si registra maggiore sintonia. Venerdì prossimo volerà a Malaga, per incontrare Spagna, Grecia, Malta e Cipro – la prima linea costiera dell’Europa – e rilancerà la proposta sulla redistribuzione: chi è salvato in mare – sarà la posizione dei cinque – va accolto per quote proporzionali dai ventisette Paesi membri.

Il presidente del Consiglio conosce le difficoltà di far accettare questo approccio ai falchi del Nord e dell’Est Europa. Non a caso, punta a far dirottare gran parte dei quindici miliardi europei del partenariato verso i Paesi dell’Africa del Nord. E, in particolare, verso Libia e Tunisia. A Tunisi la situazione politica è assai instabile. Diverse migliaia di migranti partiti dalle coste tunisine sono già sbarcati di recente in Italia. La complessità del quadro libico non è da meno. Quel denaro può aiutare a stabilizzare, garantendo infrastrutture, sicurezza, istruzione, rilancio economico. Anche su questo punto, esistono sensibilità diverse. La Grecia, ad esempio, reclama fondi da investire nei Paesi di frontiera della rotta orientale, che hanno però già ricevuto nuove risorse lo scorso giugno. E tutto questo senza dimenticare l’incognita incombente della crisi afghana e dell’emergenza profughi.

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