Lega spaccata, Salvini arranca: guerra per bande nel partito

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Il senatore Alberto Bagnai promuove via social la raccolta firme per indire il referendum abrogativo sul Green pass (“È un segnale utile per chi la politica la fa, per chi crede di farla, e per chi subisce i primi e soprattutto i secondi”), il collega di battaglie no euro Claudio Borghi è in down (“Le battaglie di minoranza sono da fare, ma il giorno dopo, anche se l’esito era inevitabile, ti senti vuoto”), l’eurodeputata Francesca Donato annuncia di voler stare “con la minoranza, con chi oggi viene cacciato e punito perché pensa e agisce da uomo libero”. La vittoria dell’ala pragmatica e nordista della Lega capeggiata dal ministro Giancarlo Giorgetti e dai tre presidenti di Regione di Lombardia, Veneto e Friuli Venezia-Giulia sul caso Green pass, con Matteo Salvini nel ruolo di mediatore interno che finisce per sentirsene dire – privatamente – di qua e di là, lascia giocoforza degli strascichi interni nel Carroccio. L’aria è quella della guerra per bande, l’aria in vista delle amministrative è pessima e nel 2023, o quando si tornerà a votare, la Lega andando avanti così rischia di prendere la stessa percentuali di voti del 2018, il 18 per cento: solo che i seggi in Parlamento saranno di meno e in parecchi rischiano di restare fuori. “Fratelli d’Italia ci ha superato, al sud non ci stiamo consolidando e il caso di Napoli ne è la più chiara dimostrazione”, spiega un eletto di tendenza sovranista, quindi per nulla convinto dalla pax draghiana. E in effetti nel capoluogo campano la figuraccia è bella grossa: la Lega si presentava con la lista “Prima Napoli” ma la documentazione presentata agli uffici non era a norma.

L’ultima disfatta di Salvini piegato dal golpe nella Lega

di

Emanuele Lauria

15 Settembre 2021

Si tratta solo dell’ultimo atto di un’estate terribile per Salvini. Non solo l’auto-sconfessione su tutto il capitolo Green pass, ma così pure l’esser stato costretto – dopo averlo difeso a spada tratta – a far dimettere il sottosegretario all’Economia Claudio Durigon dopo le sue frasi ad un comizio sul parco Falcone-Borsellino di Latina da trasformare in “parco Mussolini”. Né l’obiettivo messo nel mirino nella speranza di deviare un po’ l’attenzione, cioè la ministra degli Interni Luciana Lamorgese, sembra anche solo lontanamente alla portata di tiro. Da tempo infatti il leader della Lega ha sollecitato un vertice a tre con anche Mario Draghi. La convocazione spetta ovviamente a quest’ultimo. Solo il premier, ammettono tutti i protagonisti di questa storia, può decidere se e quando far sedere attorno allo stesso tavolo la ministra e il segretario della Lega. Il fatto è che il presidente del Consiglio sembra orientato a non fissare – almeno per ora – l’incontro. Troppo fitta l’agenda interna e internazionale. Troppo delicato il momento, perché sui migranti bisogna lottare in sede europea e a livello di G20. L’incontro è dunque di fatto congelato. E chissà se mai si farà. Sia chiaro, lo schema può cambiare in qualunque momento. Al premier bastano due telefonate mezz’ora prima per organizzare il mini vertice. In conferenza stampa non l’aveva nemmeno escluso. In passato, Draghi ha dimostrato di imporre brusche accelerazioni. Ma nulla, in queste ore, lascia preludere che sia questo il suo orientamento. Anzi, se finora non ha fissato l’appuntamento – che pure per diverse settimane è stato annunciato come imminente – è perché il numero uno dell’esecutivo inizia a ritenere sconveniente sottoporre la sua ministra dell’Interno a un passaggio del genere. Non è il momento, quantomeno. Non ha voglia di farla finire su un illegittimo banco degli imputati, né di esporla a qualche pubblica denuncia di Salvini. Anzi, più crescono gli attacchi contro la titolare del Viminale, meno sembra disposto a farlo. La macchina della propaganda e del consenso del Capitano sembra insomma aver ingranato la retromarcia.

Ue, Draghi blinda Lamorgese sui migranti e congela l’incontro a tre con Salvini

di

Tommaso Ciriaco

18 Settembre 2021

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