ROMA – Una crescita dell’economia superiore al 10 per cento per il biennio 2021-2022. È l’obiettivo minimo del governo che nei prossimi giorni approverà la Nota di aggiornamento al Def (il Documento di economia e finanza) con le nuove proiezioni e con cui aprirà la lunga sessione di bilancio. Per ritrovare un livello di aumento di questo tipo bisogna tornare indietro di diversi decenni, alla fine degli anni ‘60. Una sfida che il governo Draghi può vincere se supererà anche i problemi aperti da molte crisi industriali e quelli dell’occupazione.
L’economia italiana chiuderà il 2021 con un aumento intorno al 6 per cento (era previsto un +4,5 per cento). È vero che c’è un importante effetto rimbalzo dopo il crollo del 2020 (-8,9 per cento) ma l’Italia sta andando meglio degli altri Paesi: nel secondo trimestre del 2021 il Pil è cresciuto del 2,7 per cento più di quanto abbiano fatto Francia e Germania. Stesso discorso per la produzione industriale. E il presidente del Consiglio, Mario Draghi, vuole approfittare di questa spinta per trasformare il rimbalzo in una crescita strutturale dell’economia, sfruttando la progressiva messa a terra dei progetti finanziati da qui al 2026 con le risorse (più di 200 miliardi di euro) del Next Generation Eu.
L’accelerazione per l’introduzione del Green Pass obbligatorio in tutti i posti di lavoro va letto, oltreché nella chiave di una misura sanitaria di emergenza, guardando all’economia. Il governo vuole evitare assolutamente il rischio di nuove chiusure e interruzioni dell’attività produttiva. Non a caso l’obbligatorietà del certificato verde riguarda tutti gli uffici e le fabbriche mentre restano distinguo in altri settori, come, per esempio, quello dei trasporti. Si punta a ristabilire una nuova normalità. Anche il progressivo abbandono dello smart working nel pubblico impiego si inserisce in questa strategia. Così come la spinta per riaprire tutti i servizi, dai musei agli impianti sciistici.
Un termometro sensibile per capire cosa sta accadendo nell’economia reale è quello della produzione di macchine utensili, robot e automazione. Bene, nel primo semestre di quest’anno gli ordini da parte delle imprese hanno registrato un incremento dell’88,2 per cento, se si considerano solo gli ordini nazionali si tocca il picco di un +238 per cento. Bisogna considerare che l’anno precedente era quello del lockdown ma resta il fatto che si tratta di aumenti vertiginosi tanto che molte imprese del settore hanno esaurito gli ordini per le produzioni anche del 2022.
Nel suo ultimo Bollettino economico la Banca d’Italia prevede che nel corso di quest’anno ci sarà un’accelerazione degli investimenti da parte delle imprese private. Il 45 per cento delle aziende incrementerà nella seconda parte del 2021 la quota degli investimenti. È l’industria che trascina la ripresa e la decisione del premier Draghi di intervenire giovedì prossimo all’Assemblea della Confindustria al Palalottomatica di Roma ha anche un valore simbolico. L’asse con le imprese (al centro come in periferia) è stato fondamentale per introdurre il Green Pass nei posti di lavoro e pure per mettere all’angolo le resistenze del leader leghista Matteo Salvini.
In questo nuovo scenario l’incremento del Pil di quest’anno, superiore alle previsioni di aprile di un punto e mezzo, apre la strada ad un “tesoretto” di 10-12 miliardi che potrà essere indirizzato alla riforma del fisco. È difficile che il disegno di legge delega venga varato questa settimana ma gli occhi sono puntati sulla legge di Bilancio che potrebbe contenere un primo intervento di taglio della terza aliquota Irpef e una limatura dell’Irap in modo da far scattare la riduzione delle imposte fin dal prossimo anno.
Una ulteriore carta che il governo Draghi si gioca per recuperare un new normal per l’economia italiana attraverso un rilancio dei consumi: proprio per non intaccare l’effetto fiducia ed evitare spaccature nella maggioranza la riforma del catasto sta uscendo dai radar, almeno nell’immediato. Mentre si punta a ridurre il cuneo fiscale e contributivo, oltre che con Irpef e Irap, anche con un intervento per un paio di miliardi per eliminare il contributo sugli assegni familiari (Cuaf) che pagano le imprese ma che non ha più ragione di esistere con il passaggio dal prossimo anno all’assegno unico e alla fiscalità generale.