La battaglia per la riforma dei medici di famiglia: “Non funzionano più, devono diventare dipendenti”

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La sanità è cambiata negli ultimi anni. Il processo è stato accelerato in modo drammatico dal coronavirus e adesso, grazie ai fondi del Pnrr, bisogna avviare la stagione delle riforme soprattutto nel campo dell’assistenza territoriale. Per farlo, è necessario però cambiare lo status e anche il ruolo dei medici di famiglia, che così come sono non funzionano più.

Gli assessori alla Salute delle Regioni hanno firmato ieri un documento che vuole introdurre un cambiamento epocale e per questo rischia di essere una bomba per i rapporti con una delle categorie di medici più potenti e ascoltati e che comunque aprirà il via a una fase di rivoluzione il cui esito non è ancora chiaro. Per gli assessori alla fine dovrà cambiare la condizione professionale dei medici e dei pediatri di famiglia, che oggi sono convenzionati con il sistema sanitario. L’idea è di farli passare alle dipendenze delle Regioni o di accreditarli oppure infine di avviare un regime misto. Nel documento si fanno varie ipotesi sul futuro inquadramento dei dottori ma c’è un punto fermo: il rapporto fiduciario con i pazienti deve restare perché tutti i cittadini continuino ad avere un medico di famiglia o un pediatra di riferimento. Intanto però vengono messi alcuni punti fermi, che riguardano i problemi del servizio prestato da questi professionisti e le prestazioni che con il nuovo regime dovranno per forza essere assicurate. 

“Medicina di famiglia ostacolo allo sviluppo”

Da anni si lavora per rinforzare il territorio e cioè portare, quando possibile, le cure a casa dei cittadini o comunque vicino, in ambulatori e presidi sanitari diffusi nelle città e nei paesi. Da tempo l’idea è di realizzare strutture di riferimento che raggruppino professionisti e quindi diano una risposta ampia ai bisogni dei cittadini. Nel Pnrr queste strutture si chiamano “Case della comunità”. Ecco, la convenzione con i medici di famiglia e i pediatri “non è più in grado di garantire che l’investimento notevole, già realizzato in alcune realtà e previsto nel Pnrr su queste strutture, rischi di non portare ai risultati auspicati in termini di capacità di risposta ai bisogno dei cittadini”. Un modo un po’ arzigogolato per dire che bisogna cambiare. Ed è solo il primo.

Gli assessori sono un po’ più chiari quando dicono che per come è organizzata oggi, la medicina generale “non riesce ad essere valorizzata all’interno dei sistemi regionali, diventando un ostacolo al percorso di sviluppo e strutturazione”. Poi introducono uno dei problemi legati alla convenzione. Si tratta di una importante “carenza” perché “non si contempla un sistema di valutazione che abbia delle effettive ricadute e possa costituire un incentivo”. Cioè il lavoro di quei professionisti non si può esaminare e giudicare.

“Durante la pandemia non hanno seguito i pazienti a casa”

Uno dei paragrafi è dedicato alla pandemia. E qui si parte subito col dire che “il profilo giuridico del medico di medicina generale e del pediatra, liberi professionisti convenzionati, non è idoneo ad affrontare il cambiamento in atto”. Questo anche perché dopo la pandemia si dovranno gestire i cronici, l’aumento dei fragili, programmare l’assistenza domiciliare eccetera. “Gli accordi nazionali sottoscritti a sostegno delle azioni delle regioni per fronteggiare la pandemia, su tamponi, vaccinazioni, test rapidi, hanno prodotto scarsi risultati”. E sono andati meglio i medici organizzati in società cooperative. Sono state le Usca, le unità di giovani camici bianchi messe in piedi dalle Asl che andavano al domicilio dei malati di Covid, a “sopperire alle difficoltà della medicina generale di organizzarsi autonomamente nel fornire un effettivo supporto per la sorveglianza attiva dei propri assistiti”. Cioè i medici non hanno seguito abbastanza i pazienti a casa. “L’attività di sorveglianza, che ha gravato enormemente il lavoro dei dipartimenti di sanità pubblica delle Asl, avrebbe dovuto essere effettuata dai medici e dai pediatri ma non esiste uno strumento contrattuale/normativo che permetta alle aziende sanitarie di coinvolgere questi professionisti, neppure in una situazione così drammatica come una pandemia globale”.

L’inadeguatezza del modello organizzativo sarebbe alla base anche del drammatico contributo in termini di vite umane fornito dalla medicina generale “sul quale il servizio sanitario riconosce il valore del sacrificio”. La medicina di famiglia è stata debole “laddove interpretata in modo isolato”. Le forme associative invece “hanno saputo riorganizzarsi in modo resiliente”.

I medici dovranno lavorare in gruppo

Gli assessori poi affondano, prospettando il cambiamento di status per i medici. Bisogna uscire dalla convenzione e entrare in un “modello che richiami regole chiare e attività esigibili, con sistemi di monitoraggio e remunerazione legati a risultati di salute e attività svolte”. Il tutto dovrà comunque avvenire con un confronto “a tutti i livelli”, locali e nazionali, con i rappresentanti dei professionisti.
Qualunque sia l’inquadramento che si sceglierà ci sono comunque delle condizioni che devono essere garantite. Le Regioni pretendono alcune cose. Intanto, tra l’altro, ci sarà l’obbligo di partecipare alle forme organizzate, cioè gruppi di più professionisti e comunque di essere inseriti nelle strutture create dal Pnrr. Andranno fornite le prestazioni programmate da Regione e Asl. L’assistenza domiciliare sarà una parte integrante dell’attività e non saranno pagati extra i singoli interventi a casa dei pazienti. Andrà poi ridefinita la guardia medica, della cui riforma si parla da anni.

Gli assessorati ipotizzano vari scenari per il futuro di questi medici. O passarli alla dipendenza, o accreditarli, anche facendo accordi specifici. C’è poi un doppio canale, che mescola i due status. “Idealmente una revisione della assistenza primaria potrebbe prevedere la coesistenza in prospettiva di diverse modalità di relazione, in modo da valorizzare al massimo le opportunità presenti nei diversi contesti regionali nell’ottica di dare una risposta efficace agli specifici bisogni delle comunità”.

Le Regioni fanno notare che va anche affrontato il tema economico e quello della carenza attuale di medici di famiglia, cosa che richiederà di rivedere il corso di formazione post laurea di questi professionisti.

Ce n’è abbastanza per aprire una stagione di lotte sindacali e scontri sul futuro della sanità che si spera porti a un risultato positivo per i cittadini.

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