Senza filtri, armato di ricordi, autoironia e ma anche di dolore, con la voglia di farsi conoscere: Piero Chiambretti si racconta in un libro sorprendente, Chiambretti-Autobiografia autorizzata dalla figlia Margherita (Sperling & Kupfer), che uscirà martedì, in cui intreccia la sua vita alla tv. Si definisce “l’ultimo dei romantici”, scrive: “L’essere accettato è sempre stata una sfida da vincere, per me che sono stato rifiutato da un padre cattivo”. Racconta del legame indissolubile con la madre Felicita: “In ospedale durante il Covid che l’ha portata via in cinque giorni, un attimo prima di morire col poco fiato rimasto mi ha detto: ‘Mi raccomando Margherita’. Il 21 marzo, giorno della scomparsa di mia madre, io sono guarito. Sono certo che mia mamma è morta ridandomi la vita per la seconda volta”.
Chiambretti, perché questo libro?
“Tutti devono scrivere un libro, no? Avrei voluto mettere: non ho mai scritto un libro e non sono mai stato alle Maldive. Questo è un atto d’amore nei confronti di mia figlia Margherita, che ha dieci anni e sa poco di me. Lo considero il mio testamento d’amore per lei”.
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E agli altri cosa voleva dire?
“Il pubblico ci troverà quello che vuole, se è curioso di scoprire qualcosa delle mie scelte, del mio percorso televisivo o di me. Il libro è dedicato a mia madre, decisiva anche nella mia vita professionale. Poi la vendita è una lotteria, quanti libri restano negli scaffali come i cani in un canile? Tanti”.
“Mia madre una donna speciale che sembravano due, dispiaciuta per l’altezza mi comprò le scarpe per crescere 7 centimetri”. Lei cadeva.
“Il libro è un attestato dei suoi pensieri, del suo amore, è rimasta con me”.
A cosa tiene di più?
“Avevo già avuto un’esperienza editoriale col Portalettere, ma è nato sbobinando le interviste – in questa autobiografia parlo di me. La mia vita non è stata solo ‘angelo a Sanremo’ o ‘intervistatore di Cossiga’. Ho fatto 28 programmi diversi. Come Armani, riconosci lo stile 20 anni fa e oggi”.
Piero Chiambretti con la mamma Felicita nel 1956
Scrive: “Margherita l’ho avuta tardi, è l’amore della mia vita” e lei ricambia con una dichiarazione d’amore. “Papi tu sei piccolino ma se fossi alto non mi piaceresti”. Cos’ha imparato da sua figlia?
“Ho imparato ad amare i bambini. Ero tra quelli che, quando al ristorante piangevano, pensava: ‘Perché non li hanno lasciati a casa?’. Margherita mi ha dato una sensibilità raddoppiata, non posso più vedere storie di bambini che soffrono, ingiustizie che li riguardano. Dopo La Repubblica delle donne e del pallone vorrei fare La Repubblica dei bambini, potrebbe essere la degna chiusura”.
Che rapporto ha con l’età?
“Oggi a 65 anni sto in mezzo ai bambini, fino a 45 ero ‘Pierino la peste’. La vita è strana. Mia figlia è il prolungamento della vita di mia madre che non c’è più. Anche da ragazzo nutrivo rispetto per la vecchiaia, oggi che si diventa vecchi a 21 anni sono perplesso”.
Perché è successo, secondo lei?
“Perché il consumismo della famosa ‘società dell’immagine’ ha imposto modelli irraggiungibili: le ragazze si rifanno per sembrare più belle non si sa bene per chi. Il futuro è nelle mani di mia figlia, io non mi sono fatto condizionare dai miei difetti, li ho messi a reddito. Sono tutti a disposizione della mia carriera e ringrazio il Signore di avermi fatto piccolo”.
La morte di sua madre ricorre, scrive che spera di incontrarla. Ha scoperto la fede?
“È difficile coniugarla. c’è chi crede ma bestemmia e si ripete: ‘Tanto Lui capisce’, è un modo anche quello di essere credente. L’aldilà sta, appunto, aldilà, nessuno è tornato di qua. Come agnostico perdo le certezze che in altri momenti ho fortissime. Però sento mia madre, è un angelo custode che mi segue”.
La rassicura?
“Qualcosa c’è. Ci sono presenze che sento più vicine e che, tra l’altro, si materializzano con la visione di alcune farfalle. Mamma ha scritto cinque libri e le copertine erano sempre con le farfalle. Anche mia figlia, legatissima a lei, ha un rapporto con le farfalle. Un giorno, una si è posata sul dito. Sono diventato più sensibile, può immaginare a cosa abbia pensato”.
Racconta l’incontro con Dino Risi che dice: “La televisione rende intelligenti i cretini, e cretini gli intelligenti”. “Non so ancora adesso dove mi collocasse”. Risi era un genio, lei ha sempre avuto il dono dell’autoironia.
“Il motivo per cui l’ho messo è che la sua frase straordinaria azzera 50 anni di televisione, di saggi scritti da esperti comunicatori. È anche una battuta che permette al sottoscritto – che vive di ironia – di mettersi in gioco. Un libro che parlasse di me come Napoleone che ricorda se stesso non mi avrebbe rispecchiato. Attraverso il libro racconto 40 anni di televisione”.
Ammetterà: dall’ex direttore di Rai 3 Angelo Gugliemi a Pier Silvio Berlusconi il passo non è breve.
“Bisogna sapersi adattare, era giusto avere come referente Guglielmi negli anni 90 e Pier Silvio nel 2000, la Rai dopo 15 anni mi ha dato una pedata nel sedere ma non ho mai fatto la vittima, ho cercato lavoro. Mi cacciarono anche da La7. Pier Silvio mi cercava, c’è stima e amicizia, lavoro a Mediaset da 11 anni, mai intervenuto per dire: questo sì e questo no”.
L’intervista
Chiambretti: “Il Covid lascia traumi indelebili. Mi sento con chi soffre”
di
Diego Longhin
07 Maggio 2021
Bellissime le pagine sul “Portalettere”, quando s’intrufola da Andreotti fingendo di essere della tv svizzera e viene portato dai carabinieri. Oggi coi politici come andrebbe?
“Il portalettere non era al servizio dei politici, era una televisione ‘che svelava’ o, come diceva Guglielmi, che metteva a nudo il Palazzo. Oggi che la tv produce i politici è molto più difficile trovare il punto di rottura, ormai il politico è la televisione. Semplice dire: ‘Andrei da Salvini e da Renzi’; ci vai perché sono personaggi televisivi, non sono politici. Col Portalettere incontravi persone che hanno fatto la storia, sono arrivato all’ex presidente della Repubblica Cossiga, passando per Nilde Iotti. Figure emblematiche”.
Quando le offrono “Quelli che il calcio”, risponde: “Questo l’ho già fatto”, era “Prove tecniche di trasmissione”. Fu offerta a Fazio, “di cui non parlo per educazione”. Non ne parla neanche adesso?
“No, perché non ho motivo di rendere il libro un attacco a qualcuno”.