Negli anni del riflusso, alle assemblee di collettivo in università c’era sempre un tizio più strambo, un outsider, spesso silenzioso e però capace di improvvise e logorroiche dissertazioni fuori tema, talvolta vestito come la volontaria parodia di un impiegato, unico con la cravatta (a fiori o pesciolini) in mezzo a Clarks, sciarponi e kefiah, uno che non citava Lenin, al limite Marcuse, più facilmente Daniele Piombi o Samantha Fox. Quando chiedevi spiegazioni, nove su dieci la risposta sussurrata all’orecchio con un misto di ammirazione e compassione era: è un situazionista.
Siccome nessuno sapeva davvero bene cosa fosse un situazionista, Guy Debord l’avevano letto in pochi, la società dello spettacolo era per molti solo la visione compulsiva di Doppio Slalom al pomeriggio di Italia 1, dove come concorrente era passato pure un giovanissimo Matteo Salvini, la risposta suonava un po’ del genere: è un mattacchione, lo scemo del villaggio, il circense del gruppo. Ignoranti noi, ma una cosa l’avevamo capita: il situazionista in carne e ossa – non Debord, per carità – era uno che si mette dentro e fuori, sopra e sotto, partecipa ma si dissocia, lo dice e lo nega e poi nega di aver negato, ma sempre con la presunzione di aver sovvertito qualcosa o qualcuno.
Poi nella vita pubblica comparve lui, il situazionista italiano per definizione: Carlo Freccero. E a tutti sembrò che l’idea che ci eravamo fatti all’università avesse una sua rozza correttezza. Dopo che Freccero aveva lavorato in Fininvest alla cura dei palinsesti di Canale 5 e Italia 1, Silvio Berlusconi lo aveva nominato direttore di La cinq, il ramo francese del Biscione. Eloquio colto e denso di rimandi filosofici, un francese parlato con padronanza e quindi con la geometrica capacità di arrotare il giusto la r di Debord, Freccero ce lo immaginavamo alle riunioni di Arcore proprio come i situazionisti delle aulette occupate in facoltà. Mezzo zitto mezzo fulminante, con gli altri a domandarsi se fosse genio o paraculaggine. Antonio Ricci, creatore di Striscia la notizia, che condivide con Freccero l’etichetta di situazionista italiano, raccontò in un’intervista che non andava mai a quelle riunioni, ma che Freccero gli aveva raccontato che ad Arcore si riunivano nudi. Battute, ovviamente. Immaginatevi il dialogo tra i due situazionisti di Fininvest, uno che deve giustificare l’assenza alle riunioni con il Cavaliere e l’altro invece la presenza, e figuratevi quale mole di frescacce poteva uscirne. Però loro, i situazionisti, le chiamano détournement. Deviazione di senso, dirottamento del contesto.
Poi Freccero andò in Rai, non prima di aver firmato l’introduzione alla nuova edizione italiana delle opere di Debord per Baldini e Castoldi, cosa che lo aiutò a presentare la sua lunga stagione berlusconiana come una sorta di entrismo, di sabotaggio culturale, un paura e delirio a Cologno monzese. Nel 1997, da direttore di Rai 2, rilasciò una pensosissima intervista all’Unità proprio in occasione dell’uscita del libro. E disse: “Ammetto di aver dato un certo contributo all’avvento della televisione commerciale, con la completa spettacolarizzazione dei consumi. Ma quello che, nel bene o nel male, ho fatto nel campo della televisione si lega alla capacità di interpretare la realtà in chiave spettacolare, che mi viene dalla lettura giovanile dell’opera di Debord, come pure dal pensiero critico di Adorno e Horkheimer ne La dialettica dell’Illuminismo”. Insomma, ho collaborato ma solo perché Confalonieri pensava di mandare in onda Drive in e invece trasmetteva subliminali lezioni della scuola di Francoforte. Poi nell’intervista Freccero aggiunse: “Sono consapevole di questa contraddizione che investe la mia vita. Forse avrei dovuto rifiutare lo spettacolo. Ma avrebbe avuto senso? E avrei ottenuto qualche risultato?”.
Paradosso volle che fosse proprio Berlusconi, con un corollario dell’editto bulgaro, a segnare il tramonto in Rai di Freccero, accusato di aver ospitato su Rai 2 troppi programmi anti-Cav. Da lì partì il nuovo détournement di Freccero, sempre colto ma ora molto incazzato per l’ingiusto ostracismo. Lo fecero direttore di Rai 4, un canale che già dal nome pareva un’invenzione satirica della Gialappa’s, e lui non la prese bene. In un’altra intervista disse: “Io relegato nello scantinato digitale della tv pubblica perché provocatorio e scomodo”.
Ora, cosa può accadere a un situazionista incazzato degli anni Dieci? Incontra il Movimento 5 Stelle ed è la salvezza. Nel 2015 viene nominato nel cda della Rai in quota grillina. Poi dopo le elezioni del 2018 la riabilitazione: il M5S lo riporta alla guida di Rai 2 e lui, che come tutti i situazionisti in carne e ossa ama far parte dello Zeitgest, perché il situazionista anticipa il futuro e sta sempre in maggioranza, e la maggioranza fa cose senza sapere che le fa perché è il situazionista che sta guidando, si rimette al lavoro per la sovversione culturale e politica. E siccome è uno irriducibile, indomabile, scomodo, per questo la politica lo aveva relegato nello scantinato digitale, vara due programmi di informazione che sono una chiara provocazione per il governo giallo-verde appena insediato: Popolo sovrano e Povera patria. Del resto, appena due mesi dopo il trionfo grillo-leghista, Freccero era intervenuto al programma radiofonico La Zanzara e aveva proclamato l’inizio della nuova fase: “Sono diventato patriota e sovranista, per abbattere la Germania. Dobbiamo prenderci la rivincita su questa Germania che ha dominato. Per questo da sinistra sono diventato sovranista e patriota”. Da direttore bis di Rai 2 cerca di riportare in video Daniele Luttazzi, ma la trattativa si arena davanti ai veti dei suoi editori di riferimento. Luttazzi non la prende bene: “Freccero si è divertito a spiegare che, a differenza di Debord, lui usa il situazionismo in favore dello spettacolo, non contro di esso. S’è fatto reazionario. Si professa addirittura sovranista, dunque fascista 2.0”.
Ecco la Rai sovranista secondo Freccero: “Sarò il cigno nero della tv”
Silvia Fumarola
03 Gennaio 2019
Dopo il nuovo addio alla Rai, Freccero torna mesto allo sgradito status di pensionato. Ma l’introduzione del Green Pass è l’occasione buona per rilanciarsi. Torna in tv, rilascia interviste e dichiarazioni. Ora non ce l’ha più solo con la Germania, ce l’ha con il Potere occulto mondiale che sta usando la pandemia per il “Grande Reset” (peccato non abbia più una rete, sarebbe un nome formidabile per un programma da dare a Red Ronnie o Diego Fusaro), dice che le misure anti-pandemia sono il pretesto per nuove forme di controllo e dominio, spiega che Meloni è l’unica che si oppone con forza (i situazionisti paiono distratti e assenti mentre infuria il dibattito in assemblea ma guardano i sondaggi tutte le mattine).
Non si stupisce nessuno, tantomeno Michele Serra che in un’Amaca del 2018 aveva scritto: “Carlo Freccero è quasi completamente pazzo, e per giunta afflitto dal vezzo (situazionista, lui dice) di apparire politicamente turbolento: lui che è uno dei pochi veri prototipi, in Italia, del radical-chic di casa a Parigi, si professa grillino e populista, ma prima o poi si accorgerà che il M5S è banalmente la nuova Dc e troverà altre maniere per divertirsi”. Le ha trovate. Al Foglio, pochi giorni fa, ha detto: “Non sono complottista. Sono loro che complottano. Io leggo e cito dei documenti. Scopro che l’élite vuole imporre nuove forme di controllo sulle persone, per trasformare l’occidente nella Cina attraverso la politica sanitaria. E allora siccome io racconto questo complotto, cercando di documentarlo, ecco che automaticamente divento complottista. Un passaggio logico indebito”. Parole forti. Ma al situazionista importa una ceppa: se il vento cambia o il complotto scema, si può sempre dire che era un détournement.
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