Governo, dagli industriali a Di Maio crescono le iscrizioni al partito di Draghi

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ROMA – C’è una frase un po’ brutale che ricorre nei discorsi di tutti coloro che conoscono da vicino Mario Draghi, ed è: “Non farebbe mai una cosa alla Mario Monti”. Tradotto, il presidente del Consiglio non ha alcuna intenzione di dar vita a un partito per poi candidarsi alle elezioni. Non lavora per restare a Palazzo Chigi un giorno di più della scadenza della legislatura. Non è quello il suo orizzonte. E non rientra nemmeno nel mandato di Sergio Mattarella, che gli ha conferito l’incarico di premier di una coalizione “fuori da ogni formula politica”.

Governo, Confindustria scarica i partiti per ‘votare’ Draghi “uomo della necessità”

di

Roberto Mania

23 Settembre 2021

Allora cos’è, questo fantasma che si agita nei palazzi e che assume giorno dopo giorno il volto del “partito di Draghi”? Cosa se non l’aspirazione di larghi pezzi dei partiti di trovare un nuovo federatore fuori dallo schema bipolare – che invece si va affermando con le amministrative – per continuare un’esperienza di governo considerata positiva, rassicurante, non solo per la platea di Confindustria.

Governo, Draghi e lo spettro del conflitto sociale da evitare a ogni costo

di

Francesco Bei

23 Settembre 2021

Sarebbe sciocco pensare che sia solo quello degli industriali guidati da Carlo Bonomi il mondo che guarda all’ex presidente della Bce. “Che poi quelli fanno così, applaudono sempre i premier di turno”, dice uno scettico Carlo Calenda, secondo cui Draghi dovrebbe andare al Quirinale, mentre per Palazzo Chigi va raccolta – da qualcuno – la sua eredità: “Fuori da ogni ideologia, ha portato il pragmatismo nella politica, facendole riconquistare il valore etimologico di arte di governo.

Draghi anche dopo il 2023. Il futuro del premier agita il Pd

di

Giovanna Vitale

22 Settembre 2021

E quindi non è Azione, il partito sponsor di una permanenza del premier al suo posto. Ma è un fatto che nella sua guida si riconoscano tutti i partiti di centro dentro e fuori il Parlamento, e poi Cambiamo di Giovanni Toti, il pezzo di Forza Italia che tifa per il fallimento della federazione con la Lega, Matteo Renzi e Italia Viva. Ma anche un pezzo di Pd, la piccola componente LibertàEguale di Enrico Morando e Stefano Ceccanti, la consueta avanguardia di Base riformista, e cioè il senatore Andrea Marcucci che l’ha scritto in un tweet: “Draghi a Palazzo Chigi dopo il 2023 coincide con il desiderio di tanti e con l’interesse del Paese”.

Perfino nei 5 stelle, pur volendo dimenticare il “sembra grillino” di Beppe Grillo, c’è sicuramente una componente – con in testa il ministro degli Esteri Luigi Di Maio – che con il presidente del Consiglio lavora benissimo e lavorerebbe ancora. C’è poi un motivo, non da poco, che tiene insieme tutti questi desideri: nel 2022 il governo italiano dovrà andare in Europa a trattare la revisione del patto di stabilità.

Da questo, oltre che da un uso corretto dei fondi del Recovery, dipende il nostro futuro. In tanti vorrebbero metterlo nelle mani del premier (per assicurargli poi alla fine del 2024 un posto alla guida della Commissione o del Consiglio europeo). Poi però c’è la politica. Draghi non si sognerebbe mai di federare un centro pulviscolare e tiene molto a marcare la distanza da una visione conservatrice della società. Bonomi, che lo incensa, è stato a Palazzo Chigi una volta sola, i sindacati molte di più. Il suo prossimo obiettivo è un’ambiziosa riforma degli ammortizzatori sociali.

Chi lavora con lui lo definisce “un uomo di centrosinistra”. Insomma, non è dai soliti meccanismi della politica che potrebbe nascere un allungamento del suo mandato. C’è però una possibilità, che un autorevole esponente di governo confessa a mezza bocca: e cioè che dalle prossime elezioni politiche non esca una maggioranza solida. Che insomma ci sia ancora bisogno di invocarlo, Draghi.

Di dirgli: “Resta”, supposto che non abbia già preso la strada per il Colle. Perché le principali variabili in questa storia sono tre: la prima è il risultato delle amministrative e cosa comporterà in caso di sconfitta molto dura per il centrodestra. La seconda, la partita del Quirinale. “Che potrebbe lasciare tossine difficili da gestire”, confida un ministro. La terza, è la legge elettorale. Con quella attuale, è difficile possa nascere davvero un “partito di Draghi”. Col proporzionale, tutto tornerebbe possibile.

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