Dai sussidi alle pensioni. Le sette sfide del lavoro che scaldano l’autunno

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ROMA – Sette sfide d’autunno per il lavoro che manca, che finisce, che stenta, che cambia. Sette dossier aperti che dovranno chiudersi nelle prossime settimane, per entrare in legge di bilancio o nel ruolino di marcia del Recovery Plan. Il rimbalzo del Pil e il risveglio dell’economia trascinano l’occupazione, non la sua qualità. Il 90% degli 832 mila contratti attivati nei primi otto mesi dell’anno, al netto delle cessazioni, sono a termine: livello superiore non solo al 2020, ma anche al 2019, rileva Bankitalia. Le crisi industriali si accumulano, il reddito di cittadinanza non basta, le politiche attive stentano, la pensione si allontana. E un altro blocco dei licenziamenti sta per finire.

Licenziamenti

Il 31 ottobre termina anche per le piccole imprese e le medio-grandi di tessile, abbigliamento, pelletteria, calzature il divieto di licenziare, già rimosso dal primo luglio per le grandi senza scossoni: 10 mila licenziamenti a luglio, sui livelli medi del 2019. Già nei primi giorni di ottobre molte aziende di questo secondo blocco termineranno la Cig Covid. Tessile a parte, si tratta di aziende prive di ammortizzatori. E i dati Inps di agosto ci dicono che la richiesta di Cig viene proprio da loro: commercio, alberghi, ristoranti, trasporti oltre al tessile.

Ammortizzatori

L’ammortizzatore universale che copre tutti i lavoratori e tutte le imprese appare ancora più urgente. La discussione tra le parti sociali si è però arenata su chi pagherà: le grandi imprese vogliono estendere gli oneri alle piccole, il ministro del Lavoro Andrea Orlando vorrebbe aiutarle, almeno all’inizio, ma il ministro dell’Economia Daniele Franco frena sui costi a carico dello Stato. Se ne riparlerà in legge di bilancio, con entrata in vigore dal primo gennaio 2022. Nel frattempo le ipotesi sono due: nuovo stop ai licenziamenti o più Cig Covid.

Politiche attive

Il decreto interministeriale che sblocca Gol, la Garanzia per l’occupabilità dei lavoratori, ancora non c’è. Il piano sì, i soldi pure – 5 miliardi del Recovery – ma a frenare sono le Regioni, d’accordo solo su come ripartire il primo 20% della somma destinata a Gol, circa 800 milioni. Il decreto prima o poi arriverà, ma un piano omogeneo sul territorio per formare e riattivare milioni di senza lavoro sembra stentare. Così come non è chiaro il collegamento tra Gol e percettori di Cassa integrazione o reddito di cittadinanza.

Reddito di cittadinanza

Lo strumento è “ispirato a valori costituzionali” e serve “a sostenere le fasce più vulnerabili della popolazione”. Ma per il premier Draghi il reddito di cittadinanza “ha alcuni limiti, “soprattutto per quanto riguarda le politiche attive del lavoro”. Qui si dovrà intervenire. Oltre a ricalibrare i requisiti per l’accesso che al momento sfavoriscono famiglie numerose, il Nord, gli stranieri e i poverissimi. Non a caso in pandemia è stato inventato il Rem: mezzo milione di famiglie beneficiarie che si sommano a 1 milione e 225 mila col reddito di cittadinanza.

Quota 100

Come si andrà in pensione nel 2022? Chi avrà 62 anni e 38 di contributi non potrà più optare per Quota 100 che scade il 31 dicembre. Aspetterà i 67 anni. Il governo lavora a una Super Ape Sociale, allargando il bacino dei lavori gravosi per i quali l’uscita è anticipata a 63 anni con 36 di contributi: si potrebbe arrivare a 203 mansioni dalle 65 attuali. L’incertezza però coinvolge molti lavoratori in là con l’età e nel mirino dei piani di ristrutturazione delle aziende.

Delocalizzazioni

Le crisi industriali non aspettano. Alcune stridono più di altre, perché non motivate da conti in rosso. Come nel caso di Gkn: si chiude, si licenzia via mail o whatsapp, si va altrove in Italia o fuori. Il decreto per impedire comportamenti opportunistici – aziende che prendono i soldi pubblici e poi scappano – elaborato in estate dal ministro Orlando e dalla sottosegretaria Todde si è incagliato e poi inabissato, dopo che Confindustria l’ha bollato come punitivo e anti-imprese.

Smart working e quarantene

Entro l’anno arriverà una legge che disciplina lo smart working anche nel settore privato, dice Orlando. Nel frattempo il governo fatica a rifinanziare le quarantene per i lavoratori che vengono a contatto con un positivo al coronavirus: nel 2020 c’erano 663 milioni, nel 2021 zero.

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