Quando Salvini citofonava ai presunti spacciatori. Tutte le volte che la Lega ha tuonato contro la droga

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“Chiuderò i cannabis shop uno a uno”, diceva nel maggio 2019. “Con tutte le emergenze che abbiamo in Italia, bisogna approvare la legge per coltivarti quattro piantine? La droga è sempre droga”, ripeteva qualche giorno fa durante il tour elettorale in Lombardia parlando dei referendum sulla cannabis. Fino alla ‘famosà citofonata in un palazzo del quartiere popolare Pilastro, a Bologna: “Mi scusi, lei spaccia?”, tutto sotto i riflettori delle telecamere e nel pieno della campagna elettorale per le regionali in Emilia Romagna. Matteo Salvini, si sa, è contro le droghe. Sempre pronto a dichiarare guerra a ogni tipo di stupefacente e a chi lo spaccia. Ora la situazione in casa Lega però si è complicata abbastanza. Luca Morisi, il suo spin doctor che lo scorso 23 settembre ha annunciato l’addio “per motivi familiari” dalla Bestia (il gruppo che gestisce i social del leader leghista), è finito nel registro degli indagati della procura di Verona per cessione e detenzione di stupefacenti come anticipato da Repubblica. Si è scusato e Salvini gli ha teso la mano. Ma la vicenda va chiarita, a una settimana dal voto per le amministrative.

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di

Emanuele Lauria

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La battaglia della Lega e del suo segretario alle droghe va avanti da sempre. Nel marzo del 2019 quando era ministro dell’Interno ha lanciato un ddl per riscrivere le norme sugli stupefacenti inasprendo le pene ed eliminando il concetto di modica quantità per i reati di “lieve entità”. Specificando: “Noi non vogliamo punire i consumatori. Mi interessa la galera certa per gli spacciatori trovati in flagranza di reato. Se ti trovo con un quantitativo di droga che non è uso personale vai in carcere”, aveva detto.

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Non voleva sentir parlare dei ‘cannabis shop’, i tanti negozi sparsi in tutta Italia dove si vendono prodotti derivati dalla cannabis: “Li voglio vedere chiusi uno a uno. Ci saranno controlli a tappeto. Adesso basta, ci vogliono le maniere forti e controlli. Vendono ai minorenni e questa è una vergogna. È inconcepibile. Su questa storia degli shop sono pronto a litigare sul serio anche con gli alleati M5S”, riferendosi all’esecutivo giallo-verde durato poco più di un anno. “Se c’è qualche parlamentare che vuole lo Stato spacciatore il governo su questo può andare a casa. Non esistono droghe depotenziate, esiste solo la droga che fa male”. Il pugno duro del capo leghista alla lotta allo spaccio, tra le priorità del Carroccio. E ora tre ragazzi accusano il guru della comunicazione di Salvini di avergli ceduto della droga.

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Non condivide neanche i referendum sulla cannabis, che nel giro di pochissimo tempo hanno raccolto più di 500mila firme. “Il Paese ha altre emergenze”, ha detto a metà settembre, il 18, durante un evento elettorale a Milano ripetendo che la “droga è droga”. Concetto che aveva già ribadito pochi giorni prima, il 14 settembre: “La droga non è mai la soluzione. Daremo battaglia in Parlamento, la legge permette di coltivare quattro piantine per farsi in casa propria, mentre io preferisco il basilico e un bicchiere di rosso”.

Ma l’apice è stato toccato il 21 gennaio 2020. In via Deledda, nel cuore del quartiere popolare del Pilastro a Bologna, in piena campagna elettorale per le regionali in Emilia Romagna, il blitz di Salvini. Accompagnato da una signora che gli indica un portone: “Qui al primo piano”. “Qui – chiede il segretario leghista – abita uno spacciatore tunisino? È un occupante abusivo?”. Poi si avvicina al citofono e continua con una serie di domande a raffica: “Ci hanno segnalato una cosa sgradevole e vorrei che lei la smentisse. Ci hanno detto che da lei parte molto dello spaccio qui in quartiere. È giusto o sbagliato?”. La sua è stata una provocazione probabilmente. Ora riconosce l’errore del suo ormai ex guru della comunicazione e si dice è pronto a sostenerlo perché “le vicende personali non le commento”. Perché Morisi la Lega l’ha lasciata per questioni personali, dice.

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