Caso Morisi, la perquisizione nella casa del festino: “Cocaina sui piatti e nascosta nei libri”

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C’è un secondo indagato nell’inchiesta della procura di Verona su Luca Morisi. È un ventenne di nazionalità romena. Come l’ex guru dei social di Matteo Salvini, è accusato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, perché il 14 agosto scorso, dopo essere uscito dalla casa di Morisi, gli hanno trovato nello zaino una boccetta “da 125 ml” contenente del liquido trasparente che lui stesso ha ammesso essere Ghb, la cosiddetta “droga dello stupro”. Il ventenne nella vita fa il modello. E l’escort.

L’escort

Morisi lo ha conosciuto in Rete, probabilmente poche ore prima dell’incontro del 14 agosto e non con troppa fatica. Il modello è molto attivo online: ha diverse pagine sui social (da Instagram a Grindr) ma è presente, hanno accertato gli investigatori, anche su alcuni siti di incontri a pagamento.

Il 47enne gli chiede di raggiungerlo a Belfiore, nel suo appartamento alla barchessa di un cascinale fuori Verona. Morisi invita una seconda persona, della stessa età del modello. I due ragazzi si muovono così alla volta del cascinale a bordo di un’unica auto. Non sono della zona, arrivano da Milano. Sono entrambi romeni, in Italia hanno frequentato le scuole: come scrivono i carabinieri nel verbale “capiscono perfettamente l’italiano”. Non hanno precedenti, i documenti sono in regola. A Belfiore, stando a quanto raccontano i vicini che sentono rumori in quell’appartamento di solito vuoto e silenzioso, i due ragazzi arrivano tra la sera del 13 e la mattina del 14. Trascorrono quindi a Belfiore almeno 12 ore.

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l controllo dei telefoni

Nel pomeriggio del 14 agosto, alle 17, l’auto lascia il parcheggio del cascinale e si avvia verso la provinciale. Qui viene fermata dai carabinieri della Compagnia di San Bonifacio, appostati al lato della strada “per – si legge nel verbale di perquisizione e sequestro – un servizio di polizia per la prevenzione del traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope”. I carabinieri notano che i due non sono molto lucidi. Fanno qualche domanda. E il ragazzo estrae dallo zaino una bottiglietta e la consegna spontaneamente ai militari, che annotano: “Bottiglietta di vetro da succo di frutta, quasi piena, da 125 millilitri contenente del liquido trasparente che lui stesso asseriva essere droga dello stupro (Ghb)”. Il modello riferisce di aver ricevuto la droga da Morisi e aggiunge un dettaglio non di poco conto: “Nel suo appartamento al cascinale c’è anche della cocaina”. A quel punto i carabinieri, come prevede la normativa sugli stupefacenti, controllano gli smartphone dei due romeni per cercare riscontri al racconto. Trovano le telefonate e i messaggi con Morisi.

La cocaina nei libri

Intorno alle 17.15, i militari bussano alla porta di casa Morisi. Dalle foto scattate da un vicino, oltre ai due romeni si vede un uomo sulla cinquantina con un cappello rosso. “È un amico di Morisi”, sostiene Cristina, che vive nell’appartamento di sotto e dice di aver visto quella persona già altre volte in compagnia di Morisi. Ma di un “quarto uomo” non c’è traccia nelle carte dell’inchiesta.

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L’ex spin doctor di Salvini addosso non ha droghe, è pulito. E ammutolito. A parlare per lui sono le stanze e i piatti. Ne vengono sequestrati due. Dal verbale agli atti: “Un piatto di ceramica colore bianco con sopra sostanza pulviscolare di colore bianco sottoforma di cristalli, verosimilmente cocaina, accanto a tessere plastificate e una banconota arrotolata da 20 euro”; “un piatto con sopra del residuo di sostanza pulviscolare di colore bianco, posto sopra il bracciolo di un divano vicino alla libreria”. I carabinieri frugano in quella libreria, al primo piano dell’appartamento di Morisi, e salta fuori una bustina di nylon gialla, con 0.31 grammi di cocaina. “Era nascosta in un libro di colore verde”.

Morisi, difeso dall’avvocato Fabio Pinelli, quel 14 agosto si è rifiutato di firmare il verbale di perquisizione e sequestro. La procura di Verona, diretta da Angela Barbaglio, non lo ha ancora interrogato. “Il flacone di Ghb non è suo”, sostengono i legali che lo seguono. Il contrario di quello che invece il modello romeno – assistito dall’avvocata Veronica Dal Bosco – ha raccontato ai carabinieri in quel 14 agosto, il giorno del cortocircuito della Bestia.

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