“Sono tutti morti”: la strage di Linate 20 anni dopo, il ricordo di un dolore che non passa

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Milano – Il nome leggiadro – Bosco dei Faggi – nasconde la strage orrenda di vent’anni fa. Il terrore, anche, quando Milano venne a sapere che qualcosa di enorme era appena successo anche a Linate. Neanche un mese prima c’era stato l’attacco alle Twin Towers, 11 settembre 2001, e la parola “terrorismo” fu la prima che folgorò chiunque, la mattina dell’8 ottobre 2001, la mattina del più grave disastro aereo italiano: 118 morti, un sopravvissuto, un operaio della Sea che si chiama Pasquale Padovano. Sfigurato, ma vivo, 108 operazioni chirurgiche per recuperare un’esistenza che non è mai più stata normale, uno che non ha mai nascosto il peso e la responsabilità di ricordare quei fatti. “Nessuno ha mai pagato”, non ha problema a dirlo.

Sono trascorsi venti anni, ma è un ricordo che non passa, una data che Milano non può dimenticare. Aeroporto di Linate: alle 8,10 dell’8 ottobre 2001, una mattinata di nebbia, un piccolo aereo privato, un Cessna Citation CJ2, entrò per errore nella pista principale di decollo dove si trovava un McDonnell Douglas MD-87 della compagnia aerea Scandinavian Airlines che, dopo l’impatto con il Cessna, si andò a schiantare contro l’edificio dello smistamento bagagli incendiandosi. Nell’impatto morirono tutti gli occupanti dei due aerei e quattro addetti allo smistamento bagagli: 118 vittime, un numero che fa della strage di Linate quella con più vittime nella storia d’Italia. Nelle foto di Agenzia Fotogramma ripercorriamo 20 anni dalla strage di Linate in 20 scatti: dai primi soccorsi sulla pista al dolore dei parenti, dal processo con la pm Celestina Gravina a cercare verità e giustizia per le vittime ai momenti di ricordo al Bosco dei Faggi a Forlanini, dove per ogni vittima è stato piantato un albero, alle foto di Paolo Pettinaroli, indimenticato presidente del Comitato dei parenti scomparso alcuni anni fa. Un’ultima foto racconta la macabra coincidenza: domenica scorsa un aereo è precipitato su una palazzina in costruzione a San Donato, in via 8 Ottobre 2001, la strada dedicata al ricordo della strage. Lì, nelle ore successive, è arrivato Pasquale Padovano, l’unico superstite della strage, che si porta dietro un carico di emozioni e fisico, viste le ustioni riportate, da quel giorno di venti anni fa – LEGGI L’ARTICOLO

Non fu un attacco terroristico, fu un errore umano, a cui si aggiunse però un particolare non da poco: Linate era privo di radar di terra. Ci fosse stato, l’incidente si poteva evitare. Invece, alle 8,10 di quel mattino nebbioso, un Cessna decolla – a bordo due piloti tedeschi, e due importanti manager – riceve dalla torre di controllo il percorso da seguire per il rullaggio (“Cleared to Taxi North for Alfa 5”, cioè vai verso Nord, alla piazzola 5), e il pilota ripete anche l’ordine ricevuto: “Taxi North to Alfa 5”, dopodiché si infila nella nebbia, ma va verso sud, lungo il raccordo R6. Avvisa la torre di aver raggiunto Alfa 5 sul raccordo R5, non sa di essere su quello R6, e la torre nemmeno. L’aeroporto sta operando il modalità Lvp, che è la procedura di bassa visibilità. La visibilità verticale è di 100 metri, quella orizzontale di 250. Le condizioni ottimali per generare un disastro, e così è stato.

Strage Linate, Enac: “8 Ottobre diventi la Giornata nazionale per non dimenticare”. Venti anni dopo il ricordo delle 118 vittime al Bosco dei faggi

di

Simone Bianchin

08 Ottobre 2021

Su quella stessa pista c’è un aereo di linea Sas, un Md87 che sta percorrendo la pista principale – la 36R – in direzione nord, a circa 270 chilometri orari, i serbatoi pieni, anzi sta decollando. Si ritrova davanti il Cessna. Urto inevitabile. L’aereo colpisce il Cessna, che si disintegra. Il muso da una parte, i motori proiettati in due direzioni diverse. L’aereo sembra reggere l’urto, nonostante l’esplosione a poppa, ma perde un motore, e anche un pezzo di carrello. Continua la sua salita, però, la ricostruzione dell’inchiesta stabilisce che continua a salire alla velocità di 92 metri al secondo. A bordo è il terrore, ma possiamo solo immaginarlo.

I piloti provano una manovra di emergenza, che è inutile. L’aereo si abbassa, striscia sulla pista, si schianta nell’hangar dello smistamento bagagli. Dentro c’è Padovano, e altri 8 colleghi. Quattro muoiono subito, quattro si salvano. Padovano prese fuoco, semplicemente.

Muoiono tutti i passeggeri del volo Scandinavian Sk686, oltre che i piloti: 110 persone, uomini d’affari, famiglie, turisti, quasi tutti italiani, molti gli scandinavi, e anche di altre nazionalità. Muoiono i 4 del Cessna, i piloti tedeschi, il rappresentante per l’Europa della Cessna, Stefano Romanello, e Luigi Fossati, presidente della Star, che voleva comprare proprio quel bimotore. Intorno è il caos, la nebbia, il fumo dell’incendio, e a poco a poco emerge l’immagine terribile di quei passeggeri ancora legati ai loro seggiolini con le cinture di sicurezza, sfigurati, tranciati dallo schianto, i soccorritori sono sconvolti. E sulla rampa di accesso all’aeroporto si radunano i giornalisti e i cameramen, che vengono a sapere frammenti di notizie, poi la conferma, quel “sono tutti morti”, che non è del tutto vero, qualcuno si è salvato nell’hangar, ma in quali condizioni.

Intanto si avvisano i parenti, come sempre succede in queste disgrazie. Allora fece impressione il fatto che gli si raccomandò di portare gli spazzolini da denti dei morti, e magari anche i pettini, le spazzole per capelli. Non si potevano identificare le salme con certezza se non con l’esame del Dna, non bastavano i posti assegnati al check-in, servivano quindi oggetti personali, e quei famigliari che fecero la coda alla caserma dentro l’aeroporto, li ricordiamo in silenzio, schiantati assieme alle persone che avevano perduto quella mattina, in silenzio.

E sempre dignitosi sono stati. Un anno dopo l’altro, seguendo le tappe dei processi, fino alla Cassazione, il 20 febbraio 2008. Due assoluzioni, 5 condanne. E quel Bosco, piantato fin da subito e cresciuto negli anni, come gli orfani dello schianto, del resto. Adele Scarani Pesapane, vedova di Maurizio e presidente del Comitato 8 ottobre, questa mattina nel Bosco ha detto che “le cicatrici sono il segno che è stata dura, e il sorriso è il segno che ce l’hai fatta”, vent’anni dopo. Poi, dei nuovi bambini, dei nipoti forse, hanno fatto volare in cielo delle farfalle.

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