MILANO – Non solo la pessima figura elettorale nella città di Matteo Salvini, con la vittoria di Beppe Sala al primo turno; non solo l’essersi ritrovati col fiato sul collo di Fratelli d’Italia, arrivati sotto di poco meno di un punto percentuale; l’analisi dei voti e delle preferenze nella Lega apre uno scenario inquietante che sta preoccupando i vertici stessi del partito milanese e lombardo. Ed è questo: su sei eletti a Palazzo Marino, tre sono lì grazie (anche) ai voti e al sostegno diretto di Lealtà e Azione, la piccola formazione neofascista che su Milano invece ha una buona organizzazione e militanza. Tanto che qualcuno ha già coniato la nuova denominazione: “Legazione”.
Come ogni partito con una reale presenza sul territorio, nel Carroccio i voti prima si cercano e dopo si pesano. Specie quelli dati ai singoli candidati. Se ne conosce, in parte, anche la provenienza, spesso frutto di accordi e alleanze interne. La sostanza è che il patto di ferro siglato dall’eurodeputata Silvia Sardone con l’estrema destra di LeA ha portato a casa i suoi frutti: lei prima per preferenze (3.585), avvantaggiata anche grazie alla doppia scelta femminile, con la ‘sua’ quota di voti maschile suddivisa tra Samuele Piscina e Alessandro Verri, quelli che permettono di fare un balzo in avanti ai due candidati che a sorpresa arrivano secondo e terzi.
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Ilaria Carra
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Un esperto della galassia neofascista come Marco Battarra dello spazio Ritter, editore e anima della libreria cult dei neri, spiega che “l’area in città è rappresentata ormai quasi esclusivamente da LeA, ad oggi sposta tra i 500 e i mille voti. Non sembrano molti ma quando la gente non va più a votare i pochi che lo fanno contano sempre di più”. Così adesso il Carroccio, dopo essersi limitato ad ospitare Stefano Pavesi nelle proprie liste per un municipio cinque anni fa (è stato rieletto anche stavolta), si ritrova a fare i conti con un qualcosa che si prende sempre maggiori spazi. Un entrismo che sta facendo suonare l’allarme ai piani alti. La triade infatti ha scalzato nomi di peso, alcuni leghisti della prima ora oggi rimasti scottati, dalla ex deputata Laura Molteni all’uscente Gabriele Abbiati passando per il consigliere regionale Gianmarco Senna. E anche Max Bastoni, la cui vicenda merita un caso a parte: anche lui consigliere regionale, militante d’area neofascista a differenza di Sardone che arriva da Forza Italia, aveva aperto un punto elettorale proprio con lei e fatto tutta la campagna elettorale con Lealtà e Azione. O per meglio dire: la sede di LeA era diventata sede del comitato elettorale di Sardone, poi Bastoni si era aggregato. Comunque, nel 2018 per il Pirellone Bastoni portò a casa 1.200 preferenze in città: stavolta si è fermato a 700, all’appello quante ne mancano? Evidentemente nella convinzione che fosse già ormai strutturato di suo, il sostegno nelle urne dei camerati non è stato così ‘militare’.
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Così Sardone – che nel suo staff a Bruxelles aveva proprio Pavesi (il contratto però non è stato rinnovato) e mantiene invece un’altra militante di Lealtà e Azione, Luna Brudaglio – guida un po’ la pattuglia ‘legazionista’. Iniziative pubbliche, cene elettorali, banchetti e volantinaggi, salamelle in piazza prima del voto, pacchi di cibo con il santino del candidato spillato sulla busta: la manovalanza dell’estrema destra è un’ottima ragione per il patto. Piscina, da presidente del municipio 2, ha più volte partecipato alle distribuzioni dei pasti ai bisognosi – solo italiani… – portata avanti dal progetto Cooxazione di Bran.co, la costola “presentabile” di LeA. Verri, coordinatore dei giovani della Lega in Lombardia, un posticino in Regione Lombardia garantito dal partito, in campagna elettorale si è fatto vedere spesso con gli altri due e da ex consigliere municipale in zona 4 pesca voti su voti anche in 7 e 8, dove LeA ha il suo zoccolo duro. Sono eletti in quota LeA, sempre nei municipi e oltre a Pavesi, anche Andreana De Franceschi, Sabrina Geraci e Francesco Giani (guida i giovani della Lega in città), questi ultimi due più che altro sostenuti in termini appunto di preferenze.
Va detto che lo schema elettorale post-voto è ben chiaro ai vertici leghisti, guidati dai commissari Stefano Bolognini (Milano) e Fabrizio Cecchetti (Lombardia), fedelissimi di Salvini. I malumori sono diffusi e quando si aprirà la stagione congressuale c’è il rischio che si apra la resa dei conti, anche perché l’area più moderata del Carroccio non ha alcuna intenzione di morire ‘legazionista’.
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