ROMA – Prima di riformare il Reddito di cittadinanza occorre rifinanziarlo. E qui non si parla dei 200 milioni inseriti nel decreto fisco-lavoro approvato venerdì che tanto hanno suscitato le ire di Lega, Forza Italia e Italia Viva, oltre a Fratelli d’Italia che considera il Reddito un “metadone di Stato”. Quei 200 milioni servono ad arrivare fino al 31 dicembre. Per il prossimo anno ne occorrono almeno quattro volte tanto, se non si vuole tagliare l’assegno mensile di 546 euro medi a 1 milione e 400 mila famiglie che lo prendono.
Decreto fiscale, Draghi difende il reddito di cittadinanza ma averlo sarà meno facile
di
Annalisa Cuzzocrea
15 Ottobre 2021
Decreto fiscale, sì del Cdm ma il governo si spacca sul reddito di cittadinanza. Giorgetti: “Inaccettabili le coperture”. Ira M5S
di
Emanuele Lauria
15 Ottobre 2021
Ci penserà dunque la prossima legge di bilancio a tappare il buco. E poi certo, quando a fine mese la commissione Saraceno consegnerà al ministro del lavoro Orlando le conclusioni della sua indagine, il Reddito sarà passato al setaccio, corretto, migliorato, potenziato perché risponda davvero alla sua missione di contrasto alla povertà e anche di ponte verso il lavoro. Le due anime, tanto contestate, sembrano destinate a convivere ma su percorsi ben distinti e rafforzati.
Perché altre risorse al Reddito? La risposta è nei numeri, letteralmente esplosi in pandemia, in parallelo a quel milione di poveri assoluti in più calcolati da Istat come eredità Covid per un totale di 5,6 milioni di italiani in forte disagio economico, pari a 2 milioni di famiglie. La misura oggi costa il 67% in più di quando è nata nel 2019. Nel 2020 è avanzata del 37% e di un altro 21% quest’anno. Tre anni fa lo Stato spendeva 433 milioni al mese. L’anno scorso 595 milioni. Quest’anno siamo a 722 milioni. Siamo passati da poco più di un milione di famiglie beneficiarie di almeno una mensilità di Reddito nel 2019, a 1 milione e 576 mila nel 2020 e a 1 milione e 674 mila nel 2021.
I dati Inps dei primi otto mesi del 2021 sono già superiori a quelli di tutto il 2020. Ecco perché in tre interventi successivi le risorse sono lievitate già quest’anno di 1,4 miliardi dai 7,2 miliardi di costo base: i primi 196 milioni li aveva messi il governo Conte II prima di cadere, il governo Draghi ha aggiunto 1 miliardo a marzo nel decreto Sostegni I e poi altri 200 milioni nel decreto lavoro-fisco di venerdì. Il governo Conte II, nell’ultima legge di bilancio, aveva stanziato ben 4 miliardi, ma spalmati in 9 anni fino al 2029. Per il 2022 ci sono già 474 milioni.
Di fronte ai numeri di una povertà crescente, il premier Draghi non può che difendere lo strumento perché “ispirato a valori costituzionali, come l’eguaglianza e la solidarietà politica, economica e sociale”. Nello stesso tempo ne segnala “alcuni limiti, soprattutto per quanto riguarda le politiche attive del lavoro”. È qui che si interverrà, costruendo un raccordo forte con il piano Gol – Garanzia di occupabilità dei lavoratori – finanziato con 4,4 miliardi del Recovery Plan e che la Conferenza Stato-Regioni approverà il prossimo 21 ottobre in via definitiva, con il primo riparto da 880 milioni.
Rapporto Caritas, un terzo dei nuovi poveri Covid ancora non ce la fa: “Il Reddito di cittadinanza non va abolito, ma ripensato e rafforzato”
di
Valentina Conte
16 Ottobre 2021
Andrà però tenuto in conto che “due terzi dei percettori di Reddito non sono occupabili”, come si legge nel Rapporto annuale dell’Inps. Su 3 milioni di persone beneficiate, 153 mila sono pensionati, 1 milione e 350 mila minori, 450 mila disabili. Il 72% ha al massimo la licenza media, rileva la Caritas. Il 56% presenta tre o più forme di vulnerabilità.
I punti deboli del Reddito non si limitano però alle politiche attive. Anche nel sostegno alla povertà – come segnalano tutte le associazioni del Terzo Settore – il supporto economico si è rivelato sbilanciato a favore dei single e del Sud dove il costo della vita è più basso. Sfavorendo famiglie numerose e Nord, non scevro da sacche importanti di povertà. Gli stranieri sono penalizzati da un requisito troppo stringente di residenza in Italia (10 anni). E spesso qualche risparmio in più sul conto corrente impedisce di fare domanda. Il coordinamento tra Centri per l’impiego e servizi sociali dei Comuni ha poi fatto acqua. I Puc – Progetti utili alla collettività – non sono mai decollati, pur rappresentando un’occasione per impegnare le persone in servizi alla città.