Dopo il voto, Draghi pensa alla manovra. Il rischio è l’assalto degli sconfitti

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Come se non si fosse votato. Mario Draghi si sofferma poco, pochissimo sulle comunali. Sa che è il momento dei leader politici, delle loro analisi e delle loro valutazioni. Ed è convinto di poter sfruttare la specificità del suo ruolo – esterno ai partiti – per evitare di mettere bocca direttamente. Dopo il primo turno, temendo contraccolpi, aveva accelerato sull’agenda economica, imponendo la delega fiscale. Replicherà il copione, adesso che i sovranisti sono stati quasi cancellati dalle mappe elettorali di questi ballottaggi. Ci ha lavorato ieri, tutto il giorno, in stretto contatto con il ministro dell’Economia Daniele Franco. E così, oggi riunirà la Cabina di regia e poi il Consiglio dei ministri per approvare il documento programmatico di bilancio e impostare le linee guida della manovra. Venerdì pomeriggio, di rientro dal Consiglio europeo di Bruxelles – o al più tardi lunedì prossimo – dovrebbe arrivare il via libera definitivo al testo. Deve blindarla al più presto per sottrarla allo scontro politico delle prossime settimane.

l’analisi

Ballottaggi, il centrosinistra si prende le città. Disfatta della destra

di

Concetto Vecchio

18 Ottobre 2021

Un passo indietro. Nelle ultime 48 ore l’attenzione del premier si è concentrata attorno alle proteste della galassia anti-vaccini e anti-Green Pass. Forse, è la riflessione, è stata data troppa enfasi a questi eventi, visto che l’ordine pubblico ha tenuto, nonostante i timori della vigilia, e il voto non ha premiato chi ha cavalcato l’onda dei “no pass”. Ma questa è, appunto, battaglia politica, dalla quale il presidente del Consiglio preferisce tenersi fuori. Semmai, continua a mandare segnali nella direzione dell’agenda di governo. E lo stesso deve valere per la legge sulla concorrenza, che sconta un significativo ritardo. Il premier vuole metterle al riparo dalle possibili tensioni della maggioranza. In particolare, dai posizionamenti dei leader sconfitti nelle urne: Lega e Movimento in testa. Sono proprio loro a far temere uno scontro sulla manovra. E, in particolare, sul reddito di cittadinanza e quota 100, terreno ideale per affermare un’identità uscita ammaccata dalle elezioni.

Per Draghi, l’azione dell’esecutivo non può essere condizionata dalle elezioni amministrative. Certo, scavando si intuisce che a Palazzo Chigi avrebbero preferito un risultato meno squilibrato. Ma si apprende anche che si temeva uno scenario addirittura peggiore: una disfatta di Salvini accompagnata dalla vittoria di Meloni. Questo sì, sostengono, che avrebbe messo alla prova la tenuta della maggioranza. Non è finita in questo modo. E, forse non a caso, il leghista ha subito ridimensionato l’effetto della grave sconfitta. 
Se c’è una cosa che il premier non farà, comunque, è intaccare la formula politica che l’ha condotto alla guida del governo. Considera l’unità nazionale uno schema necessario, anzi imprescindibile, almeno fino all’elezione del nuovo presidente della Repubblica. E questo nonostante il fatto che i sovranisti siano stati duramente sconfitti, mentre i partiti “istituzionali” – quelli che si sono attestati sulla linea del premier, a partire dal Pd, e che adesso gli chiedono di continuare fino al 2023 – risultano premiati dal voto. Per Draghi questo non cambia la necessità di mantenere in maggioranza la Lega. Per almeno due ragioni.

il m5s

La caduta vertiginosa del M5s senza più sindaci. Conte: “Nelle città all’opposizione”

di

Giovanna Casadio

18 Ottobre 2021

La prima è che proprio un sostegno ampio delle forze politiche gli consente di gestire i singoli dossier con flessibilità: una volta concedendo agli uni, una volta dando ragione agli altri. Preservando il suo profilo, evitandogli la condizione di dipendere soltanto da una maggioranza di centrosinistra. Questo si lega al secondo vantaggio di guidare un governo di unità nazionale: la possibilità di giocare una partita per il Colle. La strada non è in discesa, né il premier intende esporsi. Ma è chiaro che difficilmente potrebbe spuntarla, senza il sostegno della destra. 

Proprio il rebus del Quirinale condiziona inevitabilmente il cammino dei prossimi mesi. A ben guardare, manca pochissimo. Roberto Fico ha già deciso di rispettare alla lettera la tabella di marcia imposta dalla Costituzione. Il 3 gennaio, a un mese esatto dalla scadenza del settennato di Sergio Mattarella, indicherà la data del voto in seduta comune. Due quelle possibili: 14 o 17 gennaio. Significa che già a fine dicembre, archiviata la manovra, l’azione di Draghi sarà congelata in attesa di questo snodo decisivo. Il tempo è poco, il governo adesso deve correre. 

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