ROMA – Quel che la Lega vorrebbe almeno ottenere sulle pensioni, lo dice il presidente dei senatori del Carroccio Massimiliano Romeo in poche battute: «In Consiglio dei ministri non è stato ancora deciso niente. Questo è il momento di trattare per arrivare a una mediazione. Va bene superare Quota 100, ma non si può tornare alla legge Fornero: serve uno strumento per garantire flessibilità in uscita con una misura che sia attrattiva». Tradotto, senza penalizzazioni.
Al ministero dell’Economia raccontano che quello che hanno chiesto i leghisti – attraverso il sottosegretario Federico Freni – è un fondo che garantisca esattamente questo, anticipare le finestre di uscita, senza perdere contributi, per l’intera platea che ora si troverà a dover rispettare nuove quote: 102 (64 anni di età più 38 di contributi) nel 2022, 104 nel 2023. Solo che una richiesta del genere vanificherebbe l’efficacia e il senso della misura, oltre a non essere sostenibile.
Per questo Mario Draghi resta fermo sulla sua decisione. Ha già spiegato a Matteo Salvini – che aveva provato a insistere – che mantenere Quota 100 così com’è sia di fatto impossibile. Ed è pronto a spiegargli, nella settimana che porterà da qui al Consiglio dei ministri in cui la manovra dovrà essere varata, che quota 102-104 è già una mediazione.
Il presidente del Consiglio è d’accordo sul fatto che il superamento di Quota 100 debba essere graduale, senza scaloni. Senza traumi al corpo sociale del Paese. Ma l’unica progressività che può essere accordata è quella già definita, di due anni in due anni. E la sola concessione maggiore riguarderà la platea dei lavori gravosi, già allargata – non senza polemiche – dalla commissione presieduta dall’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano.
La possibilità di lasciare prima del tempo senza perdere contributi potrebbe quindi esserci, ma solo per le categorie entrate nella nuova lista dei gravosi. Il che, alla Lega, non basta. Secondo chi ha partecipato ad alcune delle riunioni tecniche, con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, il ministro dell’Economia Daniele Franco, il sottosegretario Freni, il partito di Salvini non è disposto ad accettare che per le pensioni ci sia uno stanziamento minore di quello impiegato per il Reddito di cittadinanza. È anche una questione di bandiere: quelle sventolate durante il Conte 1 dal Carroccio da una parte e dal Movimento 5 Stelle dall’altra.
E infatti Tiziana Nisini, sottosegretaria leghista al Lavoro, insiste: «Arrivare a un compromesso va anche bene, ma 8 miliardi per il reddito di cittadinanza sono troppi. È una misura di assistenzialismo che mette in difficoltà il mondo del lavoro, noi parliamo ogni giorno con imprenditori che a causa del sussidio non trovano manodopera. Bisogna che una parte di quei fondi sia spostata sulle pensioni, in modo da favorire il ricambio generazionale».
In realtà, uno degli obiettivi fallito da Quota 100 è proprio il ricambio, il passaggio di testimone dai più anziani ai più giovani. Anche per questo, la prima proposta della Lega, quella di prorogarla almeno per un anno, è stata bocciata senza appello. «Siamo in una fase di mediazione – continua Nisini – ma va costruita in base ai soldi stanziati. È su questo che stiamo lavorando. Fare in modo che ci sia un’uscita dal lavoro a un’età adeguata».
La trattativa non sembra avere molti spazi. Né il presidente del Consiglio pensa di aver fatto alcun favoritismo ai 5 Stelle rispetto alla Lega. Perché il meccanismo del Reddito di cittadinanza sarà comunque profondamente riformato, con il décalage – il diminuire progressivo dell’assegno – che consentirà di non farne una misura di assistenzialismo senza limiti.
E con i controlli che invece di essere fatti ex post saranno eseguiti ex ante: quindi prima di concedere il sussidio. Non è poco, ma fin quando il fondo resterà intaccato, o addirittura potenziato come in questo caso, il Movimento è disposto a dire di aver vinto: «Quelle modifiche le hanno trattate con noi», rivendica nel cortile di Montecitorio l’ex viceministro allo Sviluppo Stefano Buffagni. «La verità è che abbiamo vinto su tutta la linea».
La Lega fa trapelare disappunto, nulla di più. Alla parola «strappo», qualsiasi deputato o senatore – a parte Claudio Borghi, da tempo il fronte più avanzato dello scontento – scuote la testa spaventato. Le parole d’ordine inviate a tutti dal quartier generale di Salvini sono: noi restiamo nel governo difendendo le misure che servono ai cittadini. Nessuno arriva a minacciare, nessuno – per ora – evoca scenari di rottura. Ma certo, il Carroccio ha bisogno di dimostrare che è in grado di portare a casa qualcosa. A maggior ragione dopo la batosta delle elezioni amministrative. Sulle pensioni, tirerà la corda il più possibile. Stando però meticolosamente attento a non romperla.