MILANO. Allegri ha sbagliato l’impostazione della partita, Inzaghi la gestione, e il pareggio finale è in definitiva un equilibrio di debolezze tra due squadre che si sono tenute l’un l’altra lontane dall’aria buona della classifica alta. La Juve ha rimediato un pari in extremis con un rigore casuale e tutto sommato può andarle bene così, perché è l’Inter che adesso calamiterà su di sé dubbi e riflessioni: aveva l’occasione, e ne avrebbe avuto i mezzi, per togliersi di torno i bianconeri ma si è persa in una ripresa timida dopo un primo tempo di superiorità limpida. La gara è scaduta nel grigiore e nel grigiore la Juve si trova meglio, ma il vero verdetto è che a San Siro non si è vista una sfida scudetto, neanche un po’, ma solo delle ambizioni fatue scolorate nella generale mediocrità.
Eppure fine all’intervallo l’Inter era sembrata di pasta diversa. Ha sballottato la Juve che non ha l’abitudine a tenere certi ritmi, perché finora è sempre stata abituata ad acquattarsi per difendere vantaggi raggiunti in fretta (o pareggi che le stavano bene), e di conseguenza ad acquattare la partita per anestetizzare i tempi del gioco. Ma qui non ha potuto: Inzaghi ha puntato subito sull’intensità e sulla capacità interista di mantenersi lucidi e precisi anche ad alte velocità. Ha portato la Juve sul suo terreno e ai bianconeri non è rimasto che il fiatone di chi deve sempre correre dietro a qualcuno: hanno ribattuto con slancio e volontà, ma senza l’atteggiamento speculativo in cui sanno rifugiarsi così bene hanno perduto compattezza e coralità, come se questi livelli faticasse a tenerli. E stavolta il gol è arrivato presto ma l’hanno segnato gli altri, con un tocco di Dzeko a porta vuota dopo che una stangata di Çalhanoglu deviata da Locatelli aveva fatto vibrare l’incrocio. La Juve in quel momento era in dieci, in attesa di sostituire Bernardeschi infortunato alla spalla.
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Allegri aveva rinunciato a Chiesa e De Ligt e la scelta non ha pagato, a meno che non gli bastasse avere uno stopper a metà campo su Brozovic (solo quello ha fatto Kulusevski) e uno che rinviasse andando per le spicce (Chiellini). Ma poi ha potuto aggiungere Chiesa e Dybala (Inzaghi ha risposto spostando Darmian a sinistra sull’ala azzurra), a conferma che il lusso di una rosa così ricca solo lui può permetterselo. I due talenti hanno scosso una partita che era finita in una lunga e strana fase di stallo, una battaglia sterilizzata che l’Inter si è messa a combattere in guanti bianchi, senza più la goliardia agonistica del primo tempo. La Juve è rientrata in gioco e il confronto è diventato una tiritera senza tiri (due un contropiede di Perisic e una punizione di Dybala). Il possesso del territorio è passato alla Juventus senza che per altro ne sapesse bene cosa fare, ma l’Inter è rimasta vittima di una soggezione che l’andamento delle cose non giustificava: si è abbandonata a una timidezza senza senso concedendo possibilità a una squadra che fino al pareggio aveva sperato quasi esclusivamente nelle mischie.
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L’Inter non ha patito quelle, quanto piuttosto la mancanza di spirito di iniziativa, di personalità o di lucidità, e tutto questo le si è ritorto contro tramite il famoso episodio dirimente: un contrasto al limite dell’area tra Alex Sandro e Dumfries, con il brasiliano che anticipava di una frazione di secondo l’olandese nella contesa un innocuo pallone a mezza altezza, è diventato rigore alla moviola, visto che in diretta la gravità dell’episodio era sfuggita ai più, giocatori e arbitro inclusi (“Mariani ha fatto segno di proseguire, era a due passi, ha sbagliato, avevo una pettorina in mano e l’h fatta volare per la rabbia”, dirà Inzaghi, espulso. Dybala ha pareggiato dal dischetto, festeggiando molto un pareggio che tuttavia somiglia a una sconfitta per tutti.