M5S, l’autobiografia di Di Maio: Salvini falso e i dollari di Trump, pensieri e omissioni di un leader politico

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E se la verità fosse che quando tutto questo è cominciato, Luigi Di Maio era solo un ragazzo? Un ragazzo come tanti: spaventato dal giudizio del padre, confortato dall’amore della madre, legatissimo alla famiglia cui non a caso dedica Un amore chiamato politica, in uscita domani per Piemme. Sopraffatto da un Movimento antisistema che teneva dentro mille mondi; guidato da una comunicazione spesso fallace; impreparato davanti a passaggi epocali in cui deve – lo si vede più volte – sbrigarsela da solo.
Non è un’esaustiva autobiografia, questo primo libro dell’ex capo politico M5S. Non è il racconto autoassolutorio delle sue origini e delle sue gesta, sebbene un po’ di agiografia ci sia e del resto si poteva immaginare. È piuttosto uno squarcio che si scorge dall’interno – da un punto di vista privilegiato – degli ultimi anni della politica italiana. Quelli che hanno visto i 5 stelle trionfare alle elezioni del 2018 senza essere preparati a gestire il successo. Quelli che hanno portato il loro leader di allora a essere in meno di quattro anni vicepremier, ministro dello Sviluppo, del Lavoro, degli Esteri, in tre governi diversi e con maggioranze politiche diverse, ogni giorno cercando di imparare come si fa.

A leggerle di filato, queste 185 pagine che si concludono con i ringraziamenti all’ex portavoce Augusto Rubei, conoscendo la storia di un Movimento nato dal “vaffa” e cresciuto sulla rabbia antisistema, ci si accorge delle omissioni: non c’è il ricordo del Di Maio sovranista. Non ci sono i taxi del mare, le posizioni dure contro gli immigrati e le Ong, il viaggio a Parigi con Alessandro Di Battista per stringere le mani dei gilet gialli francesi e provare a correre con loro alle europee. Non c’è, per dirla senza infingimenti, la sua anima più conservatrice. Quella che a lungo lo ha contrapposto a chi nel Movimento ha sempre guardato a sinistra e non ha mai digerito l’intesa con la Lega. Giusto un accenno, mentre parla del senso di rivalsa provato quando Matteo Renzi – dallo studio di Che tempo che fa – manda a monte il governo col Pd per il quale ormai erano pronti anche i ministri. Nulla di più, visto che poi Matteo Salvini è definito come una delle persone più false che abbia mai incontrato. Immediatamente dopo lo scenografico resoconto della telefonata che precede la fine del Conte 1.

Quel che c’è, è soprattutto il racconto intimo di una maturazione che l’attuale ministro degli Esteri non esita a definire crescita. C’è un giovane ministro del Lavoro che si inventa il nome “decreto dignità” dopo aver parlato con un cameriere di via Veneto, ma poi si macera nei dubbi quando industriali ed economisti gli sparano contro. C’è l’ammissione della più grossa stupidaggine della sua vita – parole sue – e cioè la richiesta di impeachment per Sergio Mattarella, la cui figura è tratteggiata con gratitudine. C’è un elogio di Gianroberto Casaleggio e una definizione fulminante di Beppe Grillo: il Jep Gambardella del Movimento, colui che ha il potere di farlo fallire.

Di Battista è sempre descritto come lontano, in viaggio, in partenza, anche se si ricorda come avesse approvato l’idea dell’impeachment e come dopo la fine del Conte 1 fosse favorevole a tornare con la Lega. Parla a lungo delle sue rinunce, Di Maio: la carica di premier persa la prima volta per non aver voluto scendere a patti con Berlusconi e la seconda per non aver voluto credere ancora a Salvini. Quella di vicepremier, lasciata per far nascere il governo col Pd. È come se volesse rinfacciarle a un mondo che lo considera avido di posizioni e di potere. Ci sono parecchi retroscena: un colloquio con Trump alla presenza di Mattarella: “Voi siete con o contro Giuseppi?”. E poi: “Questi erano discorsi per Obama. Per me contano solo i dollari”. Una frase non troppo lusinghiera, eppure azzeccata, di Angela Merkel. La consapevolezza che a salvare il Conte 2 non potevano essere i responsabili, ma un rimpasto di governo fatto prima. Il racconto di quando con Fico va a trovare Grillo per convincerlo a tornare sui suoi passi, dopo l’attacco a Conte. Mischiato alla gioia per un gol di Insigne che è come il presagio di una riconciliazione impossibile. Di Maio vuole spiegare le sue ragioni, riscrivere un pezzo di storia, dimostrare che “si cresce, si cambia”. Uno dei capitoli più rivelatori si intitola – non a caso – “Realpolitik”.

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