I ragazzi di Glasgow. Greta e gli altri giovani esclusi da Cop26: “I veri leader non sono dentro, siamo noi”

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GLASGOW – “Questo è tradimento”, dicono Greta Thunberg e altre tre giovani attiviste, l’ugandese Vanessa Nakate, la polacca Dominika Lasota, e Mitzi Tan delle Filippine. Le quattro ambientaliste hanno lanciato una petizione online che in poche ore ha raggiunto un milione e mezzo di firme. E che, dopo il G20 di Roma e la Cop26 appena iniziata a Glasgow, accusa i leader mondiali di continuare a non fare praticamente nulla per salvare il pianeta: “Per noi non è una sorpresa”. Il manifesto si chiama “Appello di emergenza per l’azione sul clima!”. “Siamo catastroficamente lontani dall’obiettivo cruciale di limitare l’aumento della temperatura a un grado e mezzo”, si legge nel loro testo, “mentre i governi continuano a spendere miliardi sui combustibili fossili. Questo è l’allarme rosso per la Terra. Milioni di persone soffriranno le conseguenze di questa devastazione. Il futuro che ci aspetta è terribile. Ma può essere evitato. Perché voi”, rivolto a lettori e firmatari, “avete il potere di decidere”. La petizione non è solo l’ennesimo appello lanciato da Greta ai politici della Terra, ma incarna anche il profondo sentimento di esclusione dai negoziati che provano soprattutto gli attivisti più giovani. I quali, in questi giorni, protestano all’esterno dello Scottish Event Campus, dove si tiene il cruciale summit sul clima a Glasgow, per qualcuno già un “Flop26”. L’ambientalista svedese, del resto, non è ufficialmente invitata al vertice e ieri ha ribadito in strada che “i veri leader continuano a dire solo Bla bla bla. I veri leader non sono là dentro, ma siamo noi”. Noi li abbiamo incontrati.

Yaz Ashwmawi, fisico, Gran Bretagna

Yaz ne ha fatta di strada. “Per la precisione circa 400 miglia”, ovvero quasi 650 chilometri, spiega il giovane fisico londinese. È il tragitto dalla capitale britannica a Glasgow. A piedi. Yaz fa parte del movimento ambientalista “Camino to Cop26”, un gruppo di “pellegrini” che ha camminato senza sosta per arrivare al vertice del clima. “È stata un’esperienza straordinaria. Ci sono voluti due mesi”, racconta, “ma ne è valsa la pena: abbiamo raccolto 17mila sterline (circa 20mila euro, ndr) in donazioni, ci siamo raccordati con altre associazioni ambientaliste ma anche con diverse comunità religiose: io sono musulmano, ma siamo andati in chiese, sinagoghe, e ci siamo sentiti davvero tutti uniti in nome della Terra”. Ashwmawi è pessimista sull’esito del summit. Ma a dargli forza è “la consapevolezza sempre maggiore di questa sfida nei cittadini adulti. Ed è fondamentale che la Cop26 si svolga qui: nel Regno Unito è nata la Rivoluzione industriale. Ora ci serve un’altra rivoluzione”.

Jon Bonifacio, medico, Filippine

È forse il giovane attivista più famoso del suo Paese, è in Scozia da due giorni e ieri ha partecipato a qualche evento marginale nel gigantesco padiglione di questa Cop26. Ispirato da Greta, Jon Bonifacio ha iniziato a fare l’attivista contro il climate change circa due anni fa: “Eravamo pochi amici a fare campagna nelle Filippine”, ricorda oggi, “poi anche nel nostro Paese molti hanno capito l’atroce destino cui potremmo andare incontro”. Le Filippine sono composte di 7mila isole circa. Molte, con il cambiamento climatico, potrebbero essere presto sommerse. “Non abbiamo altra scelta”, ci spiega il giovane medico e attivista, “Manila potrebbe esserne vittima in pochi decenni, incluso l’ospedale dove ho studiato. Per noi stare sotto l’1,5 gradi di aumento di temperatura è questione letteralmente vitale”. “Noi attivisti siamo giovani e volenterosi, eppure non possiamo nemmeno sederci ai tavoli della Cop26”, conclude Jon, “a decidere, anche stavolta, saranno sempre gli stessi vecchi leader”.

Patricia Ssewungu, infermiera, Uganda

Oltre a essere un’attivista, questa giovane donna è un’infermiera, ed è arrivata l’altro giorno dall’Africa per protestare qui a Glasgow, fuori dai cancelli della Cop26 lungo il fiume Clyde. Patricia è un’oppositrice del 77enne presidente Museveni, che lei chiama dittatore e che, per usare le parole del premio Nobel Wole Soyinka, “è diventato quello per cui ha combattuto”. Ma il problema è ancora più ampio. Ssewungu è venuta qui a protestare perché “l’inquinamento fomentato dal regime corrotto che ci governa sta uccidendo il nostro Paese. Pochi mesi fa il Lago Vittoria, il più grande dell’Africa, era così avvelenato che le autorità ci hanno chiesto di non mangiarne i pesci. Per non parlare della deforestazione continua”, spiega la donna. Ogni anno, il 2,6% delle foreste del Paese sono spazzate via e di questo passo non ne rimarranno più in 25 anni. “Ciononostante, il governo britannico continua a finanziare massicciamente Museveni”, continua Patricia, “è tempo che la politica pensi anche all’ambiente”.

Eve Redhead, cooperante, Gran Bretagna

Ha solo un quarto di secolo d’età, ma per il clima si batte già da 15 anni. “Da ragazzina, mi chiedevo: perché c’è tutta questa plastica in giro?”, ricorda oggi. E così, a 10 anni, Eve prese carta e penna e scrisse al primo ministro britannico Tony Blair, esortandolo a fare di più. È il 2021 ed Eve non ha perso lo spirito, anzi: all’università ha studiato proprio clima e ambiente e oggi è attivista della ong 2050 Climate Group, che si occupa di aumentare la consapevolezza dei giovani su un tema vitale come il cambiamento climatico. “Siamo tutti frustrati”, ci confessa, “anche perché in questi mesi sono state pronunciate tante parole dai politici, espresse tante speranze. Ma la verità è che, sull’inquinamento, stiamo andando nella direzione opposta”. Eppure il governo Johnson ha promesso più di tutti nella lotta al cambiamento climatico. Tuttavia, Eve è molto scettica: “Sono promesse assolutamente ipocrite: basti pensare che l’esecutivo britannico ha appena annunciato una nuova piattaforma petrolifera proprio qui in Scozia”.

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