“‘Ma che prodotti stai usando?’ Mi ha chiesto lui.. e io gli ho risposto che sto usando merda, ma purtroppo è una questione finanziaria”. Per mero scopo di lucro, il ponte Morandi di Catanzaro, un viadotto enorme, alto 112 metri che collega la città con la strada dei Due mari è stato per anni sottoposto alla necessaria manutenzione con materiale scadente, che potrebbe averlo esposto a rischio crolli. E chi ci ha lavorato sopra lo sapeva. “È passato qui quell’altro fenomeno, è venuto qui dove abbiamo spicconato e ha detto ‘non va bene’ perché al Morandi (di Genova ndr) con questo materiale lo abbiamo fatto e casca tutto”. Parola di imprenditori, tecnici, operai che per mesi hanno involontariamente confessato alla Guardia di Finanza che li ascoltava l’irresponsabile gestione dei lavori di consolidamento e manutenzione su una delle infrastrutture strategiche del capoluogo calabrese.
Il ponte sequestrato
È questo il quadro sconcertante che emerge dall’ultima inchiesta della procura antimafia di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, che questa mattina ha portato all’arresto di quattro persone, tre in carcere e una ai domiciliari, più al sequestro con facoltà d’uso del viadotto Bisantis, da tutti conosciuto come ponte Morandi, e della galleria Sansinato. Un provvedimento necessario per comprendere quanto grave sia la situazione e quanto pericoloso possa essere il transito sul ponte, già da anni interdetto alla circolazione dei camion, e attraverso la galleria.
Usato materiale scadente
Per quei lavori eseguiti in maniera sconsiderata, in manette invece sono finiti i due reali titolari delle società di manutenzione che si erano aggiudicate l’appalto. Si tratta di Eugenio e Sebastiano Sgromo, che per i magistrati non solo hanno scientemente utilizzato materiale scadente – plausibilmente semplice malta al posto del calcestruzzo – per aumentare il margine di guadagno sui lavori, ma hanno anche costruito un elaborato castello societario per intestare la società ad una loro collaboratrice, Rosa Cavaliere, per questo finita ai domiciliari. Motivo? Erano sospettati di aver agevolato i clan con le loro ditte e per questo erano già inciampati in indagini antimafia, come l’inchiesta Basso profilo che la scorsa settimana è costata una condanna a 5 anni all’ex assessore regionale al Bilancio Franco Talarico, dunque temevano sequestri e confische. Rinunciare a lucrare su appalti pubblici destinati a mettere in sicurezza infrastrutture strategiche? Neanche per scherzo.
Una ‘porcheria’ usata come calcestruzzo
Più che altro erano loro a scherzare e ridacchiare sul materiale usato per rimettere in sesto la struttura, sulla “porcheria” contrabbandata come calcestruzzo, e utilizzata senza scrupolo. Sfrontati, si lagnavano dei controlli. Che del resto non erano poi così stringenti, se è vero che fra gli indagati c’è anche un ingegnere dell’Anas, Silvio Baudi, interdetto per sei mesi dalla professione, al pari di un geometra, Gaetano Curcio, indagato come complice dei due imprenditori, che non potrà lavorare per nove mesi.
Una talpa nelle indagini
Ma gli Sgromo potevano contare anche su un altro alleato prezioso. Si tratta dell’ispettore della Guardia di finanza, in passato in servizio alla Dia di Catanzaro, Michele Marinaro, già coinvolto nell’operazione Rinascita Scott e questa mattina finito in carcere. In cambio di regali e prebende, per lungo tempo ha aggiornato passo passo i due imprenditori sulle indagini che erano in corso su di loro, suggeriva stratagemmi per eluderle o depistarle, si impegnava per attenuare la posizione dei due.
Questi i provvedimenti urgenti. Ma secondo fonti investigative, l’indagine potrebbe essere anche più ampia, perché di quanto succedesse su quel viadotto erano in molti tenuti o chiamati a sapere. E ulteriori elementi poi potrebbero arrivare dalla perizia che la procura ha affidato ad un superconsulente in passato già chiamato a “far parlare” le macerie del ponte di Genova, crollato il 14 agosto 2018 e che già da stamattina inizierà ad “interrogare” il viadotto Bisantis e la galleria Sansinato.