ROMA – Quando si presenta davanti ai giornalisti, Mario Draghi ha in mente soprattutto un obiettivo: mostrare a tutti che il governo non è a fine corsa. Il suo comandante, è il messaggio, ha saldamente in mano il timone. Sa bene che quel silenzio dopo l’approvazione del decreto sull’obbligo vaccinale lo ha danneggiato. Alimentando, senza volerlo, un’aria di smobilitazione. La guerriglia tra i partiti ha fatto il resto, diffondendo la sensazione di uno sbandamento che può zavorrare l’azione di Palazzo Chigi e complicare uno schema politico che resta caro all’ex banchiere: l’elezione al Quirinale e la sopravvivenza della maggioranza di unità nazionale con un altro premier.
Che non sia un giorno come un altro lo si intuisce subito dalle premesse. Appena prende la parola, il presidente del Consiglio annuncia che non risponderà a domande sul Quirinale. Si attiene alla promessa, in alcuni casi scegliendo di “accogliere” – dirà proprio così – soltanto la frazione di un quesito che definisce, testualmente, “accettabile”. È un’inversione netta rispetto alle scorse settimane. Durante la conferenza stampa di fine anno, infatti, non si era sottratto alle domande. Anzi, due ore di fuoco incrociato avevano partorito una formula, “il nonno a disposizione delle istituzioni“, che confermava la voglia di diventare Presidente. Quella scelta aveva attirato una sequenza di “no” dei partiti, “meglio se resti a Palazzo Chigi”. E consigliato un profilo più basso, per il futuro.
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Stavolta Draghi è perentorio, quasi brusco. La questione del Colle, però, aleggia comunque per l’intera durata dell’appuntamento. E si accompagna a resistenze politiche evidenti. A pochi minuti dall’incontro con la stampa, Silvio Berlusconi sceglie di far trapelare il suo scetticismo rispetto all’elezione dell’attuale presidente del Consiglio. È un colpo basso, ma non certo inatteso a Palazzo Chigi: proprio l’ostinazione del Cavaliere è, ad oggi, il principale ostacolo sul cammino di Draghi verso il Quirinale. Il leader azzurro si spinge anche oltre. Lega l’eventuale ascesa del premier al Colle a una immediata crisi: Forza Italia, minaccia, potrebbe uscire dalla maggioranza. L’avvertimento punta dritto al bersaglio perché nega l’impianto proposto da Draghi, quel patto largo che invoca da tempo, promettendo e auspicando un 2022 di “fiducia e unità”.
Il clima, però, sembra assai diverso. Di fronte agli ostacoli, allora, l’ex banchiere sceglie di difendere innanzitutto la sua azione a capo dell’esecutivo. Intanto perché non può escludere – soprattutto di fronte alle fibrillazioni in atto – di dover restare a Palazzo Chigi per un altro anno (nel qual caso, non è un mistero, la formula che più lo garantirebbe sarebbe quella di congelare gli attuali assetti istituzionali con un Mattarella bis). Per essere ancora più netto, il presidente del Consiglio si rivolge ai partiti. Contesta la lettura di una maggioranza a fine corsa, divisa, fuori controllo in vista delle elezioni per il nuovo Presidente. “Finché c’è voglia di lavorare assieme e di arrivare a soluzioni condivise – dice – il governo va avanti bene”.
È una posizione politica non casuale. E questo perché l’eventuale promozione al Colle dovrebbe passare da un accordo di tutti. Non tanto per una questione di numeri parlamentari, quanto piuttosto perché andrebbe accompagnato da un’intesa per un nuovo premier, in modo da sedare l’ansia di truppe di peones allo sbando ed evitare lo spettro di elezioni anticipate.
Draghi difende un metodo, oltreché un governo. Lo fa quando si “scusa” con gli italiani per non aver compreso la necessità di spiegare subito le nuove misure. Lo fa quando riconosce ai partner di maggioranza il lavoro svolto finora e le mediazioni raggiunte. Una ricerca di “unanimità” che continuerà anche in futuro, promette, a patto che si producano soluzioni sensate che servono all’Italia. Anche in questo caso, sembra spendersi per la prosecuzione dell’azione di un esecutivo sostenuto da tutti. E d’altra parte, aggiunge lasciando trasparire un certo fastidio per le ricostruzioni dei giorni scorsi, non siamo certo di fronte a uno stallo: “Dicono che Draghi non decide più? – è la sua domanda retorica – Qui con i ministri dimostriamo che la scuola resta aperta ed è una priorità”.
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di Concetto Vecchio 10 Gennaio 2022
Ecco, anche questa mossa prova a invertire una narrazione che sta danneggiando il premier: quella, appunto, di un esecutivo che pensa già ad altro. I segnali si moltiplicano, in queste ore. Il più pesante è stato quello lasciato trapelare (e poi smentito) da Giancarlo Giorgetti a proposito di una maggioranza a fine corsa che ha esaurito la spinta propulsiva.
Certo, l’obiettivo del leghista è quello di favorire l’elezione di Draghi al Colle. Ma la strategia assomiglia a un’arma a doppio taglio: il caos potrebbe infatti spingere il premier al Quirinale, in modo da mettere in sicurezza la sua figura, ma anche renderne indispensabile la permanenza a Palazzo Chigi, proprio per blindare la legislatura.