Il dolore, almeno quello fisico, è un po’ meno forte nel primo pomeriggio dell’11 gennaio. Il ricordo dell’aggressione subita a Capodanno e dell’aspetto dei suoi violentatori no, ed è questo che Giulia – il nome è di fantasia – mette a verbale, in videocollegamento da un paese della Bassa lombarda con la pm Alessia Menegazzo e l’aggiunto Letizia Mannella: “Sono stata accerchiata da un gruppo di ragazzi, circa quaranta- cinquanta persone”. Un’ora e lei, 19 anni, in mezzo, nonostante gli sforzi per proteggerla di un paio di amici. “Vedevo gente che mi tirava per le braccia e per le gambe, mi ricordo del ragazzo dal giubbino rosso sul mio lato sinistro. Lo vedevo di lato mentre venivo sollevata da forse sei ragazzi”. La sequenza dell’orrore le ripassa davanti agli occhi, come al rallentatore. “Altri ragazzi del gruppo mi levavano i vestiti – prosegue – il giubbino, la maglietta, il reggiseno, mi hanno abbassato pantaloni e mutande mentre ero sollevata in aria, a pancia in su”. Come in un sabba. L’orda sempre più fuori controllo. “Cercavo di allontanare da me la gente che mi tratteneva, ma la presa era troppo forte. Quando hanno finito mi sono accorta di essere stata graffiata”. E palpeggiata, soprattutto nelle parti intime.
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Soltanto qualche istante dopo, e senza sapere come e perché, si era sentita liberata da quella morsa: “Mi ricordo che mi sono trovata per terra, senza niente addosso, e un poliziotto con lo scudo mi ha assistito. Delle mie amiche mi hanno messo addosso un giubbino. I miei aggressori? Sono scappati tutti, non li ho più rivisti” . Non si erano accontentati degli oggetti. L’obiettivo era lei: “Credevo mi stessero trattenendo per sottrarmi borsa e telefono – aggiunge la vittima – per questo li ho lanciati, sperando che li avrebbero presi e mi avrebbero lasciato stare”. Tentativo vano: “Nessuno di loro si è allontanato”. Non prima di essere dispersi. Non era la prima aggressione che la ragazza e le sue amiche avevano subito durante la serata. Racconta di aver preso la direzione di piazza Duomo alle 23.40 del 31 dicembre. “Davanti al McDonald’s mi sono accorta che un individuo alle mie spalle mi sfilava il portafoglio dalla borsa. Mi sono accorta e mi sono girata, vedendolo con in mano il portafoglio. Il nome di questo individuo mi è stato riferito da uno dei miei amici”. Lo mette a verbale, la ragazza, quel nome, e spiega anche che non era rimasta inerte, anzi, si era difesa. “Si vantava con degli amici di avermi sottratto il portafogli, così ho deciso di riprenderlo dalle sue mani. Lui mi ha insultata e io ho reagito sputandogli in faccia. Pensavo fosse finita lì”.
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Per riprendersi, insieme a una delle amiche, aveva raggiunto un bar, anche per darsi una rinfrescata in bagno. Insieme le due ragazze avevano attraversato piazza Duomo per ricongiungersi al resto della compagnia davanti al McDonald’s. Qui, però, “quattro o cinque ragazzi continuavano a seguirci, uno indossava un giubbotto rosso e mi chiedeva insistentemente il numero di telefono e per questo gli ho dato il mio indirizzo Instagram”. Sarà lo stesso ragazzo che le stava intorno durante la violenza. Altri, poi, avevano cominciato ad afferrarla per le braccia, soprattutto uno, “con la barbetta, che si atteggiava da protagonista e ha cercato di tirarci quando i nostri amici ci hanno difeso. Loro ci stavano attaccati e provavano a circondarci continuamente, praticamente corpo a corpo”. Era l’inizio della manovra di accerchiamento, che porterà alla violenza sessuale di gruppo.
Magistrati e investigatori della Squadra mobile, alla fine della deposizione dell’11 gennaio, mostrano sullo schermo una ventina di foto. La ragazza, con la stessa lucidità con cui ha raccontato, ne riconosce alcuni: quello che le aveva chiesto il numero, quello con la barbetta, chi ha allungato le mani. Sono particolari preziosi, che potrebbero portare a nuovi fermi.