Il disordine, si sapeva, sarebbe stato grande. Ma forse nessuno immaginava che la crisi di nervi sarebbe arrivata così presto. Con le famiglie italiane atterrate dal vento di Omicron e di fatto ripiombate in un lockdown sotterraneo. Con le Asl ingolfate, i medici di base travolti dalle richieste di certificati, milioni di genitori costretti dalle quarantene dei figli a tornare in smart working, le famiglie stesse divise da una giungla di regole, forse sagge in partenza, impossibili oggi alla prova dei fatti. Tra adolescenti positivi asintomatici, che barricati (di nuovo) nelle loro stanze reclamano vassoi di cibo e si riuniscono nelle chat di “quarantenati”. E bimbi di 4-5 anni che hanno avuto la sorte (diffusissima) di entrare in contatto con un compagno positivo, cui le Asl inviano lettere nelle quali si raccomanda al genitore di tenerli “ben chiusi in una stanza con un bagno soltanto a loro dedicato”. Baby detenuti “modello carcere di San Quintino”, come scriveva ironicamente un papà.
Guai poi a non conoscere nel dettaglio la burocrazia del Covid, la sottile differenza, ad esempio, tra “autosorveglianza”e “quarantena preventiva”, il cui significato sarebbe semanticamente assimilabile: potete dire addio alla Dad per i vostri ragazzi. Così racconta Maria Teresa, mamma di un liceale romano: “Quando ho saputo che mio figlio era entrato in contatto con un positivo, ho avvertito la scuola, dicendo che il ragazzo avrebbe osservato i cinque giorni di autosorveglianza. Convinta che la mattina dopo gli sarebbero stati inviati i codici per seguire la Dad. Invece niente. Mi viene detto che per attivare le lezioni in Dad sarebbe stato necessario un certificato del medico. Chiamo il mio trafelatissimo, nonché assai affidabile medico di base, il quale risponde dopo ore di attesa. “Cosa devo scrivere su questo certificato”. “Scusi non è lei il medico?””.
Il racconto di Maria Teresa diventa surreale. “Ripeto incauta la stessa formula: autosorveglianza. Il certificato arriva a mezzanotte. Penso alla fatica dei medici persi nella nebbia fitta della Covid-burocracy. Invio il certificato. La mattina seguente la scuola, però, precisa che la Dad viene attivata non in caso di “autosorveglianza” ma solo di “quarantena preventiva”. Non è la stessa cosa? No. Mi arriva, nottetempo, un secondo certificato corretto del mio oberatissimo medico. Dopo tre giorni, finalmente, risento la voce rassicurante dei prof “.
E se Maria Teresa litiga con la nomenclatura dei casi, le chat dei genitori delle scuole d’infanzia sono una lista infuocata di emergenze. Giuliana ha una figlia di quattro anni che frequeta una storica e popolosa scuola nel quartiere Prati di Roma. “Il 10 gennaio un compagno è risultato positivo. Allarme delle maestre: correte a prendere i vostri figli. Molla tutto e scappa. Attenzione: se non vivi attaccato a Whatsapp rischi l’abbandono di minore, perché, sapete, la lotta al Covid si fa sulle chat. Con una bimba di quattro anni in casa è evidente che anche noi genitori ci siamo dovuti chiudere tra le nostre quattro mura. Mica puoi chiamare i nonni ed esporli a un eventuale contagio. E per poter chiedere lo smart working devi aspettare il certificato della Asl, ma le Asl ritardano e intanto sei costretta a prenderti le ferie. Ogni settimana ci sarà un nuovo positivo, è giusto rimandarli sempre tutti a casa? Rischiamo un lockdown di fatto”.
Il paradosso è che nello sforzo, saggio, di tenere tutto aperto, si sta verificando esattamente il contrario: milioni di persone chiuse in casa. Con regole, per contatti e isolamenti, così complicate da creare continui fraintendimenti. Francesco ha quattro figli e cinque quarantene diverse: “Dovrei girare un film sulla mia famiglia. Ci siamo ritrovati tutti positivi, ma ognuno con una caratteristica diversa. Mia moglie sintomatica, io asintomatico, i figli più grandi in quarantena preventiva e la più piccola, un anno, l’unica negativa, che secondo le regole, dovrà iniziare l’isolamento quando tutti noi l’avremo terminato. C’è da diventare matti”.
Caterina, mamma di due bambini della primaria, racconta invece la “maratona” del tampone. “Con un positivo in classe ieri ci siamo ritrovati tutti in farmacia. I bambini si salutavano, tipo festicciola. Incredibile. Tutti in fila augurandoci che dai test non uscisse un secondo positivo, per evitare la quarantena. Così è partita la caccia ai genitori ritardardati con messaggi minacciosi sulla chat: venite a fare il tampone ai vostri figli. E le chat di classe possono essere feroci. Domani faremo la conta, speriamo bene. Finire chiusi in casa sarebbe un disastro”.
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