È l’ora della quarta dose? «Non direi», risponde Guido Rasi. L’immunologo dell’università Tor Vergata di Roma, ex direttore dell’Agenzia europea per i medicinali e consulente del commissario per l’emergenza Covid Francesco Figliuolo, è scettico sulla necessità di un richiamo permanente. «Non ha senso mantenere il sistema immunitario continuamente attivato. Abbiamo una memoria che ci aiuta anche quando gli anticorpi calano. Forse non sarà in grado di evitare l’infezione, ma la malattia grave sì. E per il futuro sarebbe meglio elaborare una nuova risposta, più strutturata, piuttosto che continuare a organizzare vaccinazioni di massa in regime di emergenza».
Gli stessi dubbi c’erano con la terza dose, e poi si è partiti di gran carriera.
«Nel frattempo è arrivata Omicron. E abbiamo fatto bene a cambiare idea, perché oggi la terza dose ci sta difendendo. L’accettazione in Italia è stata molto buona, con oltre 26 milioni di vaccinati da novembre. La terza dose, a differenza della quarta, ha un motivazione forte. Sappiamo bene dai vaccini che usiamo tradizionalmente che tre dosi consolidano la risposta della memoria immunitaria, e la realtà ce lo sta confermando. La quarta dose invece ci pone più domande che risposte. Al momento la consiglierei alle persone immunocompromesse, ai pazienti oncologici, a chi ha una riduzione rapida degli anticorpi perché è in dialisi».
L’intervista
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Quanto durerà l’efficacia della terza dose?
«Non lo sappiamo, ma ora ci sta chiaramente proteggendo dai sintomi gravi».
Non si ha la sensazione che dopo ogni dose si torni sempre al punto di partenza?
«Non torniamo mai al punto di partenza. Gli anticorpi calano come è naturale che sia. Ma la memoria immunitaria, la risposta cellulare, restano attive ancora oggi. È per questo che ci possiamo contagiare, ma ci ammaliamo meno».
Ma la quarta dose è sicura?
«La quarta dose sarà sicura, ma non è scontato che una stimolazione continua e ripetuta dopo un po’ non crei problemi al sistema immunitario. In ogni caso non possiamo andare avanti con campagne vaccinali di massa ogni pochi mesi. Non è sostenibile. Bisognerebbe pensare a una risposta più strutturata».
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In che modo?
«Creando vaccini spray che producano un’immunità nelle mucose dell’apparato respiratorio, per esempio. O che siano facili da prendere, ad esempio per via orale come avviene con la polio. Oppure vaccini che riconoscano altre proteine del virus, più stabili della spike che muta rapidamente».
Sembra che le case produttrici non si stiano affrettando ad aggiornare il vaccino per Omicron. Nei nostri contratti non ci sono clausole che obbligano le aziende a fornirci sempre il vaccino più adatto?
«Sinceramente non lo so. Ma ci penserei due volte oggi a introdurre un nuovo vaccino. Servirà del tempo non tanto per crearlo, quanto per produrlo in volumi enormi e distribuirlo. Nel frattempo il panorama delle varianti potrebbe essere mutato di nuovo. I vaccini attuali, se somministrati in tre dosi, restano efficaci contro Omicron. È giusto al momento usare quelli».
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Perché il nuovo vaccino Novavax non è ancora arrivato?
«È questione di poco. Novavax è un vaccino proteico un po’ più difficile da produrre. I vaccini a Rna invece insegnano direttamente alle nostre cellule ad assemblare la proteina spike del virus. È come se ci dessero la canna da pesca anziché il pesce, e questo semplifica molto il lavoro».
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L’India ha creato un vaccino, Corbevax, privo di brevetti. Sarà utile alla vaccinazione del mondo?
«Moderna fin dall’inizio della pandemia ha rinunciato al brevetto, eppure non mi sembra che la mossa abbia aiutato i Paesi poveri. Il brevetto è solo uno dei problemi per la produzione su larghissima scala, e non il principale. Leggevo di un Paese africano che non ha potuto accettare uno stock di vaccini perché non ha i frigoriferi adatti. Dopo due anni di pandemia, avrei sperato di non sentire più notizie simili. I governi locali potrebbero fare di più. In alternativa dovrebbe intervenire l’Oms, anziché criticare chi decide di ricevere la terza dose».