ROMA – No alla ricandidatura al Colle di Sergio Mattarella: non ci sono le condizioni. No a Mario Draghi al Quirinale perché “non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca” giacché “diciamocelo francamente, significherebbe tornare a votare, cacciatevelo nella testa”. E dunque, un nuovo esecutivo – è la promessa – “sarebbe sottoposto al voto degli iscritti al Movimento 5 Stelle, perché la democrazia diretta è un pilastro anche del nuovo corso”. Giuseppe Conte si rivolge così ai Grandi elettori 5S durante l’assemblea convocata ieri sera, alla vigilia del voto per il Quirinale.
Oggi, infatti, i 234 pentastellati perlomeno ufficialmente, voteranno scheda bianca. Il coordinamento con Pd e Leu tiene ma più che altro Conte sogna di trasformare uno dei nomi che più ha sponsorizzato finora, quello del fondatore della comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi,, in una opzione concreta per il quarto scrutinio. Non un candidato di bandiera, ma anzi capace di pescare a destra perché “non ha colori politici”. L’importante adesso è “non bruciare subito la candidatura di Riccardi”, da qui la scelta di prendere tempo e “saltare” le votazioni che richiedono la maggioranza di due terzi.
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Di mezzo ci sono tre giorni e quindi mille variabili e opzioni e infatti l’ex presidente del Consiglio si tiene tutte le porte aperte: l’ipotesi di una scelta ampiamente condivisa col centrodestra, e al momento Riccardi non sembra esserlo, “è in piedi, non abbiamo remore”. Il terrore dei 5 Stelle di uscire perdenti dal passaggio quirinalizio è tanto, da qui l’estrema cautela e il linguaggio felpato.
Dopodiché, sempre a proposito dei destini del capo del governo, l’attuale esecutivo “deve rafforzarsi e andare avanti, non per arrivare alla fine della legislatura ma perché siamo qui per tutelare l’interesse dei cittadini, costi quel che costi”, le sue parole in assemblea con deputati, senatori e delegati. È su questo che si misura la maggior distanza con Luigi Di Maio, il quale invece confrontandosi con i parlamentari a lui più vicini ha ripetuto il consiglio che aveva dato al presidente del Movimento nei giorni scorsi, in un faccia a faccia alla Farnesina: prima di arrivare a una conclusione per il Colle, “occorre investire su un patto di legislatura per evitare crisi al buio”. Sottotesto: consentendo così a Draghi, assicurando a tutti che non ci sarà una fine prematura della legislatura, di andare al Quirinale.
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“L’importante è però restare uniti e compatti”, è l’auspicio del ministro degli Esteri espresso con gli stessi interlocutori e su questo sono formalmente tutti d’accordo. Diversi eletti poi hanno ripetuto lo stesso concetto, quello del “patto di legislatura”, nella congiunta. Misurando bene le parole, senza quindi entrare in rotta di collisione con Conte e alimentare l’impressione di una divisione.
C’è poi una terza posizione che invece ha già deciso che farà di testa propria e sin dalla prima votazione odierna comincerà a segnare un altro nome sulle schede: Sergio Mattarella. “Dentro le cabine ci andiamo noi eletti e delegati regionali, mica i leader: la scelta migliore per il Paese è che Mattarella resti al suo posto – confida un parlamentare – Quando Giorgio Napolitano venne rieletto, nel 2013, al primo scrutinio prese venti voti, al secondo ancora meno: il senso è mandare un segnale chiaro, non importa quindi che le schede siano subito tantissime”. L’ipotesi di un bis, dunque, resta sul piatto e in maniera trasversale.