Quirinale 2022, lLa strana coppia Letta-Renzi e il patto per fermare il blitz della destra

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ROMA –  Un confronto duro con i ministri, l’intesa con Matteo Renzi su “Draghi o Casini per me pari son”, la sterzata giallo-rosso-verde che potrebbe portare, già oggi, a siglare un accordo. Nel mezzo, il terzo scrutinio, che porta alla luce le fratture interne al centrodestra e spedisce un chiaro avvertimento a Salvini: se forzi, rischi di farti male. L’alfa e l’omega di una giornata ad altissima tensione, scandita per Enrico Letta da tre punti di svolta.

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La prima, di buon mattino. Dice il segretario del Pd aprendo il collegamento su Zoom: “Ciascuno è libero di esprimere le sue opinioni, ma ora siamo alla stretta finale, il passaggio è delicatissimo, vi esorto a una maggiore disciplina di partito”. Dall’altra parte ci sono i tre ministri che, fatalmente, guidano le principali correnti democratiche.

È a loro – Lorenzo Guerini, Dario Franceschini e Andrea Orlando – che Letta chiede di non adoperarsi per soluzioni alternative a quelle cui il leader sta dedicando anima e corpo. Di evitare di intavolare trattative sottobanco con amici e nemici. Di non rilasciare più dichiarazioni ambigue: rischiano solo di alimentare voci di divisioni nei gruppi dem che invece, specie adesso, “devono mostrarsi compatti”. Ce l’ha soprattutto con il responsabile della Cultura, il più ostile all’ascesa di Mario Draghi al Colle, indaffarato a promuovere Pier Ferdinando Casini di sponda coi parlamentari di Base riformista. Ma pure con il titolare del Lavoro, che continua a porre condizioni su un’eventuale elezione del premier e insiste sull’opzione Giuliano Amato, tutt’altro che sgradita, ma soltanto come piano B.

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La seconda svolta, quella forse decisiva, arriva all’ora di pranzo. Negli uffici di Italia Viva a Montecitorio, l’inquilino del Nazareno incontra Matteo Renzi. Un lungo colloquio che sgombra il campo da ogni sospetto: il senatore di Firenze – lo ha già dichiarato – non appoggerà alcuna candidatura di destra, anzi. Insieme al Pd – promette – lavorerà per sbarrare la strada a Maria Elisabetta Casellati (o a chi per lei) e individuare un nome d’altissimo profilo che metta d’accordo l’intera maggioranza di governo, salvando la legislatura. E se poi si dovesse finire su Draghi, il preferito da Letta, oppure su Casini, prima scelta di Renzi, nessuno dei due si straccerà le vesti: sarebbe una vittoria per entrambi. Come pure la convergenza su una personalità terza, purché super partes.

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Nel frattempo, prima della stretta che potrebbe sbloccare la partita, il leader del Pd vede o sente Giuseppe Conte, i vertici del centrodestra (Salvini, Meloni, Tajani, Giorgetti), l’intero stato maggiore del partito. L’obiettivo è sempre lo stesso: uscire dalla palude. E quando alle tre del pomeriggio il meteo annuncia per il giorno successivo il blitz del capo leghista supportato dalle truppe grilline, Letta si risolve per le minacce pesanti. “Proporre la candidatura della seconda carica dello Stato, insieme all’opposizione, contro i propri alleati di governo sarebbe un’operazione mai vista nella storia del Quirinale”, va giù duro su Twitter.

“Rappresenterebbe il modo più diretto per far saltare tutto”. Un messaggio, spiegano i fedelissimi, diretto a tre diversi soggetti: Salvini tentato dalla spallata, Conte che pare giocare su più tavoli, le fronde interne al Pd. Se il Paese dovesse precipitare al voto anticipato, la colpa sarebbe soltanto la loro.

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La terza svolta si appalesa a sera. Quando a Letta viene comunicato che la coalizione avversaria ha deciso di venire a Canossa. Hanno capito di non avere i numeri e vogliono trattare. Valutando, anche, i nomi proposti dal centrosinistra. Messi stavolta sul tavolo: Draghi, Casini, Amato, Marta Cartabia, Elisabetta Belloni e Sabino Cassese, la new entry già sondata da Salvini.

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Ora la palla è nell’altro campo. Ma il segretario del Pd è soddisfatto. Non ne fa mistero all’assemblea notturna dei grandi elettori, aperta con gli auguri di pronta guarigione a Berlusconi che la platea saluta con un lungo applauso. “Grazie alla nostra fermezza il centrodestra ha fatto i conti con la realtà”, scandisce Letta. “Qualunque presidente voteremo venerdì – qualcuno di noi sarà contento, qualcun altro meno – l’obiettivo più grande lo avremo raggiunto: tramontata la candidatura di parte, si negozierà un nome super partes. E questa è una nostra vittoria: non ci sarà un presidente di destra”. Merito anche degli alleati, che non hanno tradito. E domani, si vedrà.
 

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