Roma. Se il gioco delle forzature con candidati di bandiera si sta rivelando impossibile in questo Parlamento e con i numeri che gli schieramenti hanno, anche le “rose” di nomi che dovrebbero essere bipartisan e di caratura istituzionale, sono piene di spine.
MARIO DRAGHI
Il premier del governo appoggiato da (quasi) tutte le forze politiche, eccetto Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e Sinistra italiana di Nicola Fratoianni, avrebbe potuto essere la prima e scontata scelta. Ma sulla sua strada non c’è solo l’ostacolo di Matteo Salvini, che non ne vuole assolutamente sapere di eleggere Draghi al Colle, ma c’è anche l’ostilità del capo dei 5Stelle, Giuseppe Conte. Sul suo nome anche il gelo di Forza Italia.
Pro sono il Pd, quella parte dei grillini che fa riferimento a Luigi Di Maio e, formidabile paradosso, Fratelli d’Italia che non ha mai detto lo avrebbe votato, però è aperturista. In realtà a remare contro Draghi è una questione non da poco: chi dopo di lui a Palazzo Chigi? Come si riuscirebbe a evitare la fine anticipata della legislatura? I primi nemici di Draghi sono quindi i peones, i parlamentari Grandi elettori che temono di andare a casa.
Il leit motiv delle ultime ore è: forse Draghi non andrà al Quirinale, ma potrà indicare chi ci va.
PIER FERDINANDO CASINI
E’ il candidato “totus politicus”, come lui stesso ha rimarcato con un post social in cui raccontava la passione per la politica. “La politica è la mia vita”, ha scritto. Il principale sponsor di Casini è Matteo Renzi, che ha “lavorato” per la sua candidatura, tessendo una tela con il centrodestra e con Enrico Letta.
A favore sono quindi Italia Viva, i centristi. Per il Pd sarebbe una scelta obbligata se non ci fossero altre schiarite, ma non è la prima opzione.
Contrarietà forte è quella di Giorgia Meloni che lo giudica un ”trasformista” per le diverse casacche politiche indossate nel tempo. Contro anche Matteo Salvini. No dei 5Stelle, corrente Di Maio soprattutto.
GIULIANO AMATO
Mai nome è circolato tanto per il Colle negli ultimi quindici anni come il suo. Giudice costituzionale, se non sarà il nuovo capo dello Stato, dovrebbe essere eletto presidente della Consulta. Due volte premier, ministro per le Riforme istituzionali, del Tesoro con D’Alema premier, e dell’Interno con Prodi, è stato nel 2015 il nome che Silvio Berlusconi avrebbe voluto al posto di Sergio Mattarella.
A favore Forza Italia, non contrario il Pd i Letta. Contro la Lega, Fratelli d’Italia e i 5Stelle.
SABINO CASSESE
E’ la personalità super partes, presidente emerito della Consulta, accreditato nelle ultime ore tra i papabili. Nessuna forza politica nega che sia di altissimo profilo. Il Pd ne valorizza il passato come ministro del governo Ciampi, a Fratelli d’Italia piace la sua apertura sulla riforma istituzionale in senso presidenziale, Forza Italia non ha ostilità.
Contro sono i 5Stelle. Durante il governo Conte furono feroci le sue critiche all’uso dei Dpcm da parte del premier.
ELISABETTA BELLONI
E’ la donna dei primati: prima donna a dirigere il Dipartimento per l’informazione e la sicurezza, ovvero ai vertici dell’Intelligence, prima donna a guidare l’Unità di crisi della Farnesina, prima donna a dirigere la Cooperazione allo sviluppo e primo capo di gabinetto del ministro degli Esteri. Ha relazioni internazionali e capacità di gestione che da Salvini a Meloni a Letta e Conte le vengono riconosciute. Ma per i Grandi elettori peones, che sono poi quelli che fanno la differenza, è una figura con scarsa popolarità.
La contrarietà è trasversale e riguarda il ruolo nell’Intelligence e il fatto che se eletta, sarebbero due “tecnici” ai vertici dello Stato: Belloni al Colle e Draghi a Palazzo Chigi.
MARTA CARTABIA
E’ la Guardasigilli, prima donna presidente emerita della Corte costituzionale, su cui assai poco c’è da eccepire. Va bene a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni, ai garantisti come +Europa e Azione, ai renziani e certamente al Pd. Non scalda il cuore dei Grandi elettori però, e le rimproverano di avere assai poco esperienza politica.
Contro ha i 5Stelle che le imputano di avere scardinato la riforma del “loro” ministro Alfonso Bonafede sulla prescrizione.