Tranne pochissime persone nessuno ha mai potuto vedere dal vivo le Gioie della Corona del Regno d’Italia custodite da 75 anni nella Banca d’Italia. Nel febbraio del 2006, l’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi, nella qualità di Governatore, si occupò della lunghissima e mai risolta vicenda dei gioielli dei Savoia e in quei giorni sembrò davvero che gli italiani fossero sul punto di poter ammirare quei preziosi.
Draghi, pochi giorni dopo il suo insediamento ai vertici dell’Istituto, rispondendo al parlamentare Raffaele Costa che chiedeva di poter esporre i gioielli in una mostra da organizzarsi in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino, diceva: “La Procura della Repubblica di Roma ha affermato il venir meno del vincolo di indisponibilità che non consentiva né l’esibizione dei gioielli della Corona del Regno d’Italia, né l’avvio delle procedure per la loro riconsegna”.
“La Repubblica” titolò il giorno seguente: “Sbloccato il tesoro dei Savoia. Draghi: i gioielli possono lasciare il caveau di Bankitalia. Il Governatore: presto una commissione per decidere come e a chi riconsegnarli”. Non se ne fece nulla. Ma perché? Torniamo all’ex Governatore.
I Savoia fanno causa: “Lo Stato restituisca i gioielli di famiglia”
di Francesco De Leo 25 Gennaio 2022
“I competenti uffici della Banca – continuava il Governatore nella sua risposta a Costa- hanno chiesto al Segretariato della presidenza del Consiglio indicazioni sui conseguenti comportamenti da tenere, da parte dell’Istituto, in qualità di depositario. Nel frattempo è intervenuta la modifica della tredicesima disposizione transitoria della Costituzione”.
La modifica, infatti, abrogò le disposizioni che impedivano sin dal 1948 il rientro ed il soggiorno in Italia degli eredi maschi della Casa Reale Savoia – quindi del depositante re Umberto II – pur mantenendo in vigore la norma che stabilisce che i beni esistenti nel territorio nazionale degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, sono avocati dallo Stato.
Il via libera dato dalla Procura della Repubblica, pur tranquillizzando lo Stato, non fece tuttavia venir meno i vincoli di carattere normativo ai quali la Banca d’Italia è sottoposta riguardo alla gestione del tesoro. Ed è per questo che Draghi, “in considerazione della delicatezza della materia e della complessità del relativo quadro giuridico”, sottolineò “l’opportunità di promuovere un raccordo con il Ministero per i Beni culturali e la Presidenza del Consiglio al fine di valutare come la Banca possa corrispondere alla richiesta in presenza delle limitazioni giuridiche che gravano sul depositario”.
A quanto ci risulta questo raccordo non è mai avvenuto. Perché? Forse per il timore che potesse accadere quanto gli eredi di Umberto II proveranno a fare tra una settimana con una citazione: riappropriarsi dei gioielli. Si potrebbe aprire a questo punto una vertenza con lo Stato che non ha ancora formalmente sciolto quei nodi che avrebbero potuto riportare alla luce i gioielli, così come auspicato da Mario Draghi 15 anni fa. Le Gioie sono in Banca d’Italia perché il Re Umberto II, dopo l’esito del referendum del 1946 che sancì la fine della monarchia, lo individuò come il posto più sicuro.
Il 5 giugno del ’46, il sovrano disse all’allora Governatore di Banca d’Italia Luigi Einaudi: “In conseguenza degli ultimi avvenimenti, desidero che le Gioie della Corona non vadano immediatamente in mano ad un commissario che potrebbe prendere dei provvedimenti affrettati e magari fare una distribuzione e un’assegnazione non conforme al valore storico. Sono gioie portate dalle regine e dalle principesse di Casa Savoia… Desidero siano depositate presso la Banca d’Italia per essere consegnate poi a chi di diritto”. Prima di quel giorno i gioielli erano nella cassaforte n. 3 del Quirinale a disposizione della regina, che quando intendeva indossarli formalizzava una richiesta per poi firmare una regolare ricevuta di reso alla restituzione.