BERLINO – Quando il vicepremier russo Andrej Belousov chiese di recente ai boiardi di Stato di calcolare gli effetti di eventuali sanzioni occidentali sulle poste, sulle ferrovie e sulla compagnia di bandiera Aeroflot, il risultato non fu mai reso pubblico. Ma secondo indiscrezioni, Belousov lo riassunse in un’espressione inequivocabile: “una catastrofe”. In realtà, gli effetti complessivi dell’attuale strategia occidentale dell’isolamento della Russia sul fronte finanziario, commerciale ed economico sono difficili da calcolare, concordano gli economisti. Perché la gara contro Putin è una maratona, non una gara dei cento metri. Ma qualche lezione può essere tratta dalla storia.
Intanto, alla luce della prima tranche di misure varata da Stati Uniti, Regno Unito, Ue, Giappone e Australia, stanno uscendo delle prime, caute stime. Il Kiel Institute for the World Economy (IfW) azzarda ad esempio la previsione di un crollo dell’economia russa del 2,9% soltanto per effetto di un eventuale embargo sul gas tra Russia e l’Occidente. Mentre un blocco del petrolio causerebbe una contrazione dell’1,2%; un embargo su macchinari e componentistica dello 0,5% e un congelamento degli scambi dei veicoli dello 0,3%. Viceversa, gli effetti sull’Occidente sarebbero infinitamente più limitati.
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Per le conseguenze di medio termine può essere utile osservare la dinamica dal 2014 ad oggi, anno della prima invasione dell’Ucraina e dell’ultima tornata di sanzioni – anche se meno incisive di quelle odierne – inflitte dall’Occidente a Mosca. Per Elisabeth Christen, raggiunta al telefono all’Istituto austriaco di studi economici Wifo, “quel pacchetto non ha ottenuto un cambio di regime: Putin è sempre lì. Però l’economia si è sostanzialmente fermata”. Negli ultimi otto anni il Pil è salito in media dello 0,8% rispetto al 3% dell’economia globale. La ricchezza pro capite è scesa e il malumore tra i russi è aumentato. Ma secondo Maria Shagina, analista del Finnish Institute of International Affairs, a Putin interessa poco il benessere del suo popolo. “La ‘Fortezza Russia’ significa anzitutto che il Cremlino ha sacrificato la crescita in cambio di stabilità”. Una fragilissima “pax post-sovietica” che sostanzia il potere di Putin. E in questi otto anni, il Cremlino ha tentato anzitutto di costruire la “Fortezza Russia” per difendersi da nuove sanzioni. Ma è un obiettivo lungi dall’essere completato.
Dopo l’invasione del Donbass degli ultimi giorni, gli Stati Uniti e il Regno Unito, principali piazze finanziarie dell’Occidente, hanno scelto di colpire anzitutto gli interessi di banche e oligarchi. “L’atomica delle sanzioni, ancora oggi, sarebbe il nodo Swift, l’ipotesi di tagliare fuori la Russia dal sistema dei pagamenti internazionali”, ragiona Juergen Matthes dell’Istituto dell’Economia tedesca IW. Ma è stato escluso sia nel 2014 sia in questi giorni, soprattutto “per le pesanti ripercussioni che avrebbe anche sull’Occidente”. E Putin ha cercato in questi 8 anni di rafforzare la “Fortezza Russia” anzitutto dal punto di vista finanziario e dei conti pubblici.
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Per prevenire gli effetti devastanti della svalutazione del rublo, che secondo alcuni analisti potrebbe raggiungere il 20 o 30%, ma per corazzarsi anche dal divieto per le banche e le imprese americane di comprare titoli di Stato russi e dalle sanzioni appena decise da Londra contro cinque banche russe e tre oligarchi vicini a Putin, il Cremlino ha tentato di costruire una corazza di liquidità. Ha abbattuto drasticamente il debito pubblico al 20% del Pil per rendere la Russia più autonoma dai mercati internazionali (il 20% dei bond russi è ancora in mano straniera). E per garantire un cuscinetto alle banche e imprese che soffriranno per il rublo debole e il bando dall’Occidente, Mosca ha aumentato le riserve a 630 miliardi di dollari. Il mega Fondo sovrano alimentato dagli introiti del gas e del petrolio, inoltre, vale ormai 190 miliardi di euro. E nel giro dei prossimi anni Putin intende portarlo a 300 miliardi di euro. Per un po’, Mosca dovrebbe riuscire a far fronte a prevedibili fallimenti bancari e societari attraverso la Banca centrale e la liquidità immensa del Fondo sovrano.
Ma nel medio termine, l’isolamento occidentale rimpicciolirà inevitabilmente la finanza russa e rischierà di soffocarla. Anche l’eventuale bando del commercio in dollari o in euro potrebbe colpire duramente la Russia. Anzitutto perché nonostante abbia “de-dollarizzato” l’economia russa, tagliando le riserve nella valuta americana al 16,4%, è vero anche che il 55% dell’export russo avviene in dollari e il 29% in euro. Il traguardo di un’economia “dollar free”, tanto più se dipende enormemente dall’export di petrolio e gas, sembra ancora un miraggio.
Infine, c’è l’embargo tecnologico; se dieci anni fa il fatto di non poter più importare telefonini, microchip e alta tecnologia per la difesa e i gasdotti dall’Occidente poteva ancora spaventare Putin, oggi un’alternativa c’è: la Cina. Ma un altro tema è il malumore che secondo una recente inchiesta dell’Economist, serpeggia nell’oligarchia russa, abituata ad avere continui scambi con l’Occidente e spaventata dall’idea dell’embargo e del congelamento di asset e proprietà nascoste all’estero. E le sanzioni decise dal Regno Unito contro tre miliardari russi o dall’Ue contro i 351 membri del Parlamento che hanno riconosciuto le province separatiste in Ucraine e 27 esponenti della difesa e della finanza o gli oligarchi certo non contribuiranno a migliorare il clima intorno a Putin. Paolo Guerrieri, economista dell’Università San Diego è convinto insomma che “lo strangolamento economico, finanziario e commerciale funzionerà. Ma bisognerà avere il fiato lungo. Anche perché c’è il rischio che qualcuno bypassi le sanzioni usando Paesi terzi. Perciò l’unità europea sarà cruciale. Anche in futuro”.