Una verifica dell’età che non passi per un’autocertificazione, il controllo del patrimonio dei baby influencer, l’estensione del diritto all’oblio per le foto dei piccoli pubblicate dai loro genitori senza consenso. E poi l’educazione digitale rivolta soprattutto a bambini e ragazzi e l’istituzione di un’unità di coordinamento permanente che coinvolga Agcom, Autorità per la privacy e Autorità garante per l’Infanzia e che continui a lavorare sulla tutela dei minori in rete e sui social. Sul tavolo del ministero della Giustizia guidato da Marta Cartabia è arrivato oggi un pacchetto di proposte per regolamentare, per quanto possibile, l’accesso e l’uso del web da parte dei più giovani.
Un lavoro, coordinato dalla sottosegretaria alla Giustizia Anna Macina, che muove da alcuni dati certi: le ore di connessione sono aumentate, anche causa Dad da pandemia, l’età di accesso dei bambini alla rete si è abbassata e bambini di 5 o 6 anni passano ore soli davanti agli schermi, sono aumentati i reati online, i casi di grooming (l’adescamento di un minore) e di sexting non consensuale (l’invio di immagini sessualmente esplicite). La vicedirettrice dell’Agenzia per la Cyber sicurezza nazionale, Nunzia Ciardi, ha spiegato che anzi negli ultimi 5 anni sono aumentati anche del 250% i minori che commettono illegalità in rete, anche di particolare gravità, come la pedopornografia. E nello stesso arco temporale sono saliti del 130% i casi di pedofilia e si è abbassata l’età dell’adescamento e dei consumatori di pornografia on line.
Ma come si fa a regolare quel che appare non normabile?
“Non è semplice – spega Carla Garlatti, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza – ma abbiamo provato a lavorare di concerto, anche con le piattaforme come Facebook o TikTok, per creare norme a protezione dei minori. E abbiamo presentato la nostra relazione finale e le proposte di intervento alla ministra Cartabia”.
Tra queste c’è l'”age verification”: come si fa a controllare la realtà età di chi accede alla rete?
“Il nostro ordinamento stabilisce il limite di 14 anni di età per accedere a servizi digitali, limite che scende a 13 anni con il controllo parentale. Ma è chiaro che questo controllo non può passare per un’autocertificazione. Esistono invece tecnologie, basate sulla certificazione dell’età da parte di enti terzi, per verificare in concreto che il ragazzo che accede ai social abbia realmente compiuto l’età stabilita, mantenendo pienamente tutelato il diritto alla privacy“.
C’è un fenomeno sempre più diffuso su cui intervenite: i baby influencer.
“Sì, perché anche loro vanno tutelati. Di recente in Francia è stata introdotta una norma che controlla e limita i profitti dei baby influencer. Anche in Italia sarebbe opportuna una disciplina a sé perché spesso i genitori improvvisano e non c’è alcun controllo dei profitti e delle spese che si fanno con quei guadagni. Al momento è comunque possibile estendere le norme italiane che erano state pensate per altre forme straordinarie di lavoro minorile consentite dalla legge, come lo spettacolo o la pubblicità, sottoponendo i profitti realizzati dall’attività online dei baby influencer alla verifica dell’autorità giudiziaria, limitandoli e soprattutto vincolandoli ad alcuni tipi di spesa che rientrano nell’interesse della famiglia”.
E nel caso in cui i bambini non siano d’accordo nella pubblicazione delle loro foto e dei loro video sui social?
“Va estesa a questo fenomeno, chiamato sharenting, la norma sul cyberbullismo che già consente ai minori di chiedere la rimozione delle loro foto online. Ma bisogna essere onesti: il problema si risolve fino a un certo punto. Perché sappiamo che una volta messe in rete quelle foto viaggiano, girano, vengono scaricate, salvate, ripostate, condivise e rimuoverne ogni traccia è pressoché impossibile”.
Sono i bambini o gli adulti a dover essere educati al digitale?
“Entrambi. Noi, come Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, abbiamo particolarmente a cuore la sensibilizzazione, la comunicazione e l’educazione al digitale di ogni generazione. La rete non va demonizzata perché fa parte della nostra vita e ancor più di quella dei ragazzi e dei bambini che sono nativi digitali. Anzi, l’accesso alla rete è un diritto che va difeso e garantito, altrimenti creiamo disuguaglianze. Ma spesso sia i ragazzini che gli adulti sono convinti di dominare gli strumenti. E invece i giovani vanno educati a un uso consapevole coinvolgendo i ragazzi stessi: il movimento climatico lanciato da Greta Thunberg non avrebbe avuto lo stesso successo se non fosse partito da una ragazzina utilizzando gli strumenti propri di quella età; la stessa cosa va fatta per i social e il digitale. E in parallelo vanno educati gli adulti. Il virtuale non è più così virtuale, anche è molto reale perché incide profondamente su quel che accade fuori da uno schermo”.
Se l’età di utilizzo dei social e della rete si è abbassato, non andrebbero coinvolti anche i bambini?
“Certo. Al Salone di Torino, il 19 maggio, lanceremo un progetto di educazione al digitale dedicato agli alunni e ai docenti della scuola primaria che coinvolgerà circa 36 mila classi, perché i messaggi e gli strumenti per spiegare la ricchezza della rete e i suoi rischi non possono essere gli stessi per un bambino di 7 anni e per un ragazzo di 16”
In cosa consiste il vostro progetto di educazione digitale per l’infanzia?
“Abbiamo pensato di utilizzare un personaggio amato dai bambini come Geronimo Stilton che in una serie di avventure e disavventure narrate in un libro viene a contatto con le problematiche della rete. Alcuni amici, ad esempio, lo ritraggono in una foto in cui fa una figuraccia e, pur essendogli stata garantita rimozione dal web, l’immagine continua a circolare e tutti la guardano su smartphone o computer. In un’altra storia Geronimo fa la conoscenza di una persona in rete ma poi scopre che non è una persona fisica, ma virtuale. Agli insegnanti verrà fornito un kit con schede, netiquette digitale e un corso formativo di 25 ore diviso in moduli”.