Il caso dei “laureati italiani esclusi dal Regno Unito”

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LONDRA – I laureati italiani non potranno più continuare a lavorare o a studiare nel Regno Unito dopo la Brexit, per colpa di un visto speciale che a loro non sarà più concesso? Non è così. Se ne sta parlando molto oggi in Italia. Eppure, non si tratta di un’esclusione mirata, e nemmeno sostanziale, nei confronti del nostro Paese. 

I fatti: dal prossimo 30 maggio il governo britannico lancerà un nuovo visto di ingresso per neo laureati che vorranno venire a lavorare nel Regno Unito. È stato annunciato più volte, è un visto speciale – non generale -,  si chiamerà “High Potential Individual Visa” e sarà concesso soltanto a laureati o possessori di dottorato che hanno studiato nelle maggiori 50 università del mondo negli ultimi cinque anni con risultati eccellenti in settore di alta specializzazione.

Tra queste, al momento 37 in lista, non c’è nessuna italiana. E anzi, a leggerla tutta, ci sono soltanto cinque europee: ovvero la École Polytechnique Fédérale di Losanna, l’Istituto Federale di Tecnologia di Zurigo, l’università di Monaco di Baviera Lmu, la Sciences et Lettres di Parigi e il Karolinska Institute della Svezia. Per il resto, ci sono venti atenei americani, due di Hong Kong, tre canadesi, due giapponesi, due cinesi, due di Singapore e uno australiano.

Precisazione: gli “High Potential Individual Visa”, che in tutto costano circa 2mila sterline a persona, sono solo una tipologia di visti per laureati messi a disposizione dal Regno Unito. Si tratta di “corsie preferenziali”, di tempo e numeri limitati, che permettono a laureati e dottorandi di queste 37 università “eccellenti” e personalità altamente qualificate di poter entrare e rimanere sul territorio britannico per cercare un lavoro per rispettivamente due o tre anni, senza aver bisogno di uno sponsor o di un impiego già ottenuto dall’estero, come invece richiede il nuovo sistema di immigrazione a punti del governo Johnson sul modello australiano.

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dal nostro inviato
Antonello Guerrera

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Insomma, questi laureati avranno la vita più facile, almeno inizialmente. Ma non avranno preferenze per le assunzioni, a parte aver superato lo scoglio iniziale di avere uno sponsor. E, ovviamente, ciò non significa affatto che i laureati in Italia avranno le porte sbarrate dal Regno Unito a prescindere: senza la corsia preferenziale, dovranno fare la normale trafila post Brexit, come le altre centinaia di migliaia di accademici. Che certo resta molto più complicata di quando il Regno Unito faceva parte della Ue soprattutto in termini di costi. Ciò lo si vede, per esempio, per il caso degli studenti italiani ed europei che ora pagano rette salate come tutti i pari del resto del mondo, mentre in passato erano equiparati ai britannici sborsando così molto meno. Ma se un italiano vuole studiare all’università o fare il dottorato nel Regno Unito può continuare a farne richiesta come tutti. E lo stesso se vuole chiedere un lavoro, anche se non ha studiato nelle “37 università di élite” mondiale nella lista di Londra.

Il governo di Boris Johnson, inoltre, non ha stilato le classifiche su base discriminatoria a livello nazionale, ma si è ispirato incrociando tre classifiche mondiali di atenei: la Times Higher Education World University Rankings, il Quacquarelli Symonds World University Rankings e  il Academic Ranking of World Universities. Un’università è considerata eccellente se entra in almeno due di queste classifiche. Un metodo discutibile, ma ispirato a parametri concreti e alle loro liste. Dove purtroppo non figura alcuna università italiana, e lo stesso nessuna spagnola, e nemmeno la parigina Sorbona per esempio e tutte le altre francesi a parte la Sciences et Lettres, o Heidelberg o tutte le altre tedesche a parte Monaco, o nessuna austriaca, olandese, belga, eccetera. 

Il problema dunque, in questo caso specifico, è sistemico e risale alla competitività mondiale delle università europee e italiane, che da tempo arrancano nelle classifiche globali degli atenei e che quindi hanno una marcia in meno nella concessione di questi visti speciali del Regno Unito. Un Paese che – ma questo si sa da anni – con la Brexit ha annullato ogni corsia preferenziale a studenti e lavoratori europei, aprendosi al mondo, soprattutto nel mercato del lavoro e dello studio. Tuttavia, gli studenti italiani o laureati in Italia non avranno le “porte sbarrate”, ma dovranno sborsare molti più soldi a differenza del passato e competere con tutto il resto del mondo. Ma questo, purtroppo, è già stato deciso dalla Brexit anni fa.

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