Odessa – Lo scrigno che contiene l’oro dell’Ucraina è un cargo nero che non può mollare gli ormeggi. L’enorme portellone della stiva si alza lentamente, impiega cinque minuti per aprirsi solo a metà: quanto basta per ammirare le dune che tutto il mondo vuole. Tonnellate e tonnellate di cerali sono bloccate in queste navi e in questi silos che guardano il Mar Nero infestato di mine. Eccolo il grano di Odessa, che dovrebbe essere già in Egitto, in Sudan, in Nigeria e in Asia. Ed ecco l’orzo, che aspettano in Cina e in Arabia Saudita. Le dune dei chicchi sono striate di bianco, su una l’impronta del macchinario che vi è passato sopra. Il frumento dell’Ucraina sta bene, ma è un prigioniero di guerra. Va fatto evacuare.
Si sta mobilitando la comunità internazionale, perché finché rimane qui è un deserto spettacolare e inutile che non diventerà mai il pane e la pasta di cui ha fame il mondo. Le navi di Odessa sono ferme dal 24 febbraio. L’intera area dello scalo, dove si innalzano silos grigi di quaranta metri traboccanti di cereali, è classificata sito stategico-militare. A nessuno è permesso l’accesso, non si possono fare fotografie, neanche al mare. Ma per la prima volta lo vediamo, questo grano. Repubblica ha ottenuto i video girati dal municipio di Odessa e vagliati sia dalle forze armate, sia dall’Sbu, il controspionaggio ucraino. Già questa premura, impensabile in tempi di pace, fa capire quanto esiziale sia il tema della mancata esportazione.
Nel Paese sono stoccate 25 milioni di tonnellate, tra cereali (grano, orzo e mais) e semi di girasole, destinate all’estero. Sono del raccolto 2021, uno dei più floridi degli ultimi anni. Prima del conflitto il 95 per cento prendeva la via del mare. Ora non può, serve un piano alternativo e alla svelta. “Abbiamo 13 porti, ma quelli di Mariupol, Berdyansk, Skadovsk e Kherson sono in mano russa e ne abbiamo perso i contatti”, spiega Oleksandr Holodnystsky, commissario pro tempore dell’Autorità portuale nazionale. Mykolayiv è sotto le bombe. Rimarrebbero i quattro vecchi scali sul Danubio, però al massimo caricano 300 mila tonnellate al mese e non hanno neanche le chiatte per portarlo a Costanza.
Odessa, il granaio d’Europa ora sforna meno pane: “Perderemo il 40 per cento del frumento”
dal nostro inviato
Fabio Tonacci
“In questo momento nei silos e nei depositi dei nostri porti ci sono 2,2 milioni di tonnellate tra grano, orzo e mais. Altre 700 mila tonnellate sono nelle stive di 40 cargo che non possono salpare”. E che talvolta esplodono. “Abbiamo avuto due casi: a Mykolayiv una nave battente bandiera del Bangladesh è stata colpita da un missile all’inizio di marzo, un marinaio è morto. Voglio sperare che i russi non sapessero che era un’imbarcazione civile…”. La seconda è affondata a sud di Odessa.
La questione è diventata materia di sicurezza nazionale, e non solo per l’Ucraina. Ne parla l’Onu, ne parla l’Unione Europea e ne parla, soprattutto, Zelensky. “La Russia impedisce l’esportazione e ruba il nostro grano. La comunità mondiale ci aiuti a riaprire i porti marittimi, altrimenti la crisi energetica sarà seguita dalla crisi alimentare“. Ci sono diversi modi per farlo, uno è l’esercito”. Il presidente rinnoverà la richiesta di armi ai ministri della Difesa dei 40 Paesi che oggi si riuniscono in videconferenza nel cosiddetto “Ramstein 2”. Che tipo di armamento lo specifica Mykhailo Podolyak, il capo dei negoziatori di Kiev: “Dialogare con chi ha preso in ostaggio milioni di persone? Abbiamo un’idea migliore: dateci i sistemi MLRS”. Ossia i lanciarazzi più letali partoriti dall’industria bellica occidentale.
Hanno una gittata di 60 chilometri che, montando un tipo speciale di razzo, raddoppia. Il Comando militare ucraino li userebbe per colpire l’Isola dei Serpenti, sostanzialmente uno scoglio di 17 ettari davanti a Odessa di importanza strategica gigantesca: chi lo occupa, controlla l’intero Mar Nero. Dal 25 febbraio è russo. Gli Stati Uniti, tuttavia, non sono convinti di fornire a Zelensky i super lanciamissili, capaci anche di disintegrare bersagli sul territorio della Federazione: sarebbe vista da Mosca come una provocazione.
Il grano rubato e l’incubo carestia, i russi adottano la strategia della fame
dalla nostra inviata
Brunella Giovara
Ucraina e Russia nel 2021 sono stati il quinto e il primo esportatore mondiale di grano, in due fanno il 28 per cento del mercato. L’Ucraina è anche il primo produttore al mondo di semi di girasole. La faccenda dello stallo è tremendamente seria. Per il premier Mario Draghi, almeno su questo i due devono tornare al più presto al tavolo delle trattative. Con le dovute garanzie e l’apertura degli stretti, il governo italiano è disposto a inviare nel Mar Nero una nave cacciamine per aprire un corridoio commerciale. Soluzione complicata, ma più efficace dell’ipotesi di evacuare tutto il grano via terra.
Ci sono tredici valichi di frontiera per i treni merci, di cui solo cinque (Izov al confine polacco, Ushgorod, Chop e quelli con la Romania) funzionano a pieno regime. Yurii Mykhailov, giornalista esperto di agricoltura, dice che anche aumentando la capacità giornaliera del trasporto su carrozze, adesso intorno alle 20 mila tonnellate, si sbatte contro la fisica: “Lo scartamento dei binari ucraini è di 85 millimetri più largo dello standard europeo, non viaggiano all’estero, il trasbordo alle stazioni è impensabile”. Rimangono i tir. Sono aperte due rotte verso la Polonia e verso la Moldavia. Secondo il calcolo degli analisti, per portare fuori 1,2 milioni di tonnellate di cereale al mese, servirebbe una flotta di 10 mila camion e 20 mila autisti che accettino di lavorare sette giorni su sette. In più, un oceano di benzina che, oggi, l’Ucraina non ha.
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di
Gianluca Di Feo