UVALDE (TEXAS) – Maiale affumicato e calibro 9. Strisce di cactus al jalapeño verde piccante e AR-15 con munizioni Remington. Se il ristorante con le palme sulla Main Street di Uvalde, Texas, ha un messaggio subliminale, non è questo. Oasis Outback è a dieci minuti d’auto da dove viveva il killer, a nove dalla Robb Elementary School dove è avvenuto il massacro, ma al centro della follia americana: qui è dove si mangia e ci si arma, dove ordinare un piatto di alette di pollo e acquistare un fucile da guerra. Una decina di tavoli in legno chiaro, con le bottigliette di ketchup e maionese. Alle pareti, teste impagliate di cervi. Una famiglia di otto persone, arrivata dall’Ohio, si scatta un selfie al tavolo, con alle spalle il resto del ristorante, che non è esattamente un ristorante: scaffali pieni di cappelli chiari da cowboy e berretti militari con scritto “Mama” e, più dietro, una parete in legno di una quindicina di metri dove sono in vendita “loro”: una novantina di fucili da guerra, soprattutto AR-15 Daniel Defense, fabbricati in Georgia.
Otto giorni prima della strage, il produttore aveva postato su Twitter la foto di un bambino seduto, maglietta con scritto #rescal, canaglia, e sul grembo un fucile da guerra. Il commento, riferimento a un passo della Bibbia, diceva: «Addestra un bambino nel modo che deve, e quando sarà grande non se ne separerà». Poi l’emoticon delle mani messe a preghiera. Il post è del 16 maggio. Il giorno dopo in questo ristorante-armeria si è presentato Salvador Rolando Ramos, 18 anni da appena un giorno: si è fermato a lungo davanti alla fila di fucili, poi ha scelto un Daniel Defense DDM4 con cui, la mattina del 24, ucciderà 19 bambini di quarta elementare e le due insegnanti.
Il 20 maggio si presenterà di nuovo per acquistare un altro fucile, ma il giorno della strage lo lascerà sul pick-up con cui era arrivato a scuola, dopo aver sparato alla nonna. Il produttore del Daniel Defense ha tolto il post, ma lo screenshot gira in rete. Però ha commentato: «Le mie preghiere vanno alle vittime e alle loro famiglie». Ma anche il grazie. Dal giorno dopo la strage, dice un commesso, le vendite di armi e munizioni sono aumentate. «Soprattutto donne, casalinghe», dice uno al bancone, indicando con il mento una signora ispanica, minuta, che guarda una pistola tipo Glock da borsetta, con manico turchese. Non è un buon giorno per chiedere notizie: Oasis è diventato lo store che ha venduto la morte.
«Avete finito di contare i soldi dell’assassino?», ha scritto qualcuno sul loro account Facebook. Un uomo, indicato come il direttore, non dà il suo nome e ha poca voglia di parlare. «Non ci ricordiamo di aver venduto i fucili a quel ragazzo — taglia corto — qui viene tanta gente». Il telefono squilla di continuo, i commessi ascoltano e poi riattaccano senza rispondere. Probabilmente, giornalisti. «Quello che avevamo da dire lo abbiamo detto alla polizia, con cui collaboriamo», chiude il direttore. Alla cassa i clienti, con in mano munizioni o lubrificanti, osservano in silenzio, mentre a ondate arriva la nuvola dolciastra della cipolla fritta, a ricordare cosa è l’America. Uvalde è una bolla di umidità a sud del Texas in cui vivono 16mila persone, in maggioranza ispaniche, e dove si trovano nove armerie, due banchi del pegno che vendono armi e un produttore di fucili. Qui nel 2014 il titolare di un negozio di jeans acquistò diecimila cartucce da contrabbandare in Messico. Si è preso 5 anni.
A Uvalde cresce la rabbia dei cittadini e dei parenti delle vittime per il tempo impiegato dalla polizia a entrare nella scuola. Le autorità statali hanno spiegato che gli agenti sono arrivati nel giro di pochi minuti, ma non hanno potuto far irruzione nell’aula dove il killer si era barricato. La madre di Salvador Ramos, Adriana Reyes, ha difeso il figlio: «Non era un violento, se ne stava zitto, sono rimasta sorpresa». Ma un amico di scuola media, Jaime, dà una versione diversa: «Tutti conoscevano Salvador, sapevano che era diventato aggressivo, provocava. La gente lo evitava. È stato bullizzato fin da bambino, e hanno continuato a bullizzarllo anche nei gaming, sui social, al liceo». Quando l’hanno buttato fuori da scuola, ha cominciato a vestirsi di nero. Probabilmente era vestito di nero anche il 17 maggio, quando si è presentato allo store. Aveva diciotto anni da un giorno, non ancora l’età per ordinare una birra, ma quella giusta per presentarsi al bancone con un fucile.