Dal petrolio al grano: i numeri della nuova guerra delle materie prime

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Con l’accordo appena raggiunto sul progressivo stop alle importazioni di petrolio europee dalla Russia, la memoria va alla crisi economica degli anni Settanta. Questa volta, però, la “battaglia” delle materie prime che il mondo sta combattendo non passa solo dal cosiddetto “oro nero” ma riguarda anche il gas e il grano, tanto per citare i casi più eclatanti e più discussi. Lo ha ribadito anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle sue considerazioni finali sul 2021 del 31 maggio: “Sebbene la Russia pesi solo il 2% nel commercio mondiale, essa è tra i principali esportatori di petrolio e di gas nonché di concimi e, assieme proprio all’Ucraina, di cereali”.

I numeri dell’import di petrolio e gas

E in effetti i dati del 2021 parlano chiaro: l’Unione Europea dalla Russia ha importato soprattutto materie prime, ossia per il 67% secondo i dati Eurostat. E tra le materie prime a fare la parte del leone sono stati gli idrocarburi, con l’87 per cento. L’anno scorso, e quindi ovviamente prima dell’invasione dell’Ucraina, la Russia forniva all’Europa il 45,8% dell’import del gas naturale, il 29,8 del petrolio e il 44,8 del carbone. La sola Italia, invece, sempre stando alla fotografia del 2021, importava da Mosca il 12,1% del petrolio, il 38,6% del gas e il 53,3% del carbone. Più in generale, prima del conflitto ucraino, la Russia risultava essere il terzo produttore mondiale e il primo esportatore di petrolio, alle spalle di Arabia Saudita e Stati Uniti, con una produzione 11,3 milioni di barili al giorno, consumi per 3,45 milioni e 7 milioni condotti oltre confine, soprattutto tramite gasdotti ma anche tramite petroliere.

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Gli ultimi dati diffusi a fine maggio dall’Istat hanno, tuttavia, evidenziato come nei mesi successivi alla guerra (iniziata il 24 febbraio) l’import italiano di prodotti energetici dalla Russia si sia letteralmente impennato, facendo segnare nel mese di aprile un balzo del 193,8% su base annua. Proprio nei giorni scorsi, il Financial Times aveva svelato come questo mese le importazioni petrolifere dell’Italia dalla Russia siano più che quadruplicate, in area 450mila barili al giorno. Di questo maxi flusso, due terzi sono andati a rifornire il polo di raffinazione dell’Isab di Priolo Gargallo (Siracusa), società di proprietà della russa Lukoil. È possibile che la società stesse mettendo fieno in cascina in vista dell’embargo europeo. Che, come visto, è stato appena deciso e potrebbe condurre alla chiusura dello stabilimento siciliano.

La guerra del grano

In questo momento, i riflettori restano puntati anche sulla guerra del grano, che sta colpendo duramente numerose economie in via di sviluppo. Il tutto mentre il premier italiano, Mario Draghi, spinge per un accordo che consenta di sbloccare l’uscita del grano fermo dei porti ucraini. Guardando ai numeri, secondo gli ultimi diffusi da Coldiretti, in Ucraina il raccolto di grano è stimato quest’anno in area 19,4 milioni di tonnellate, circa il 40% in meno rispetto ai 33 milioni previsti. In controtendenza, sale la disponibilità in Russia, dove la produzione aumenta del 2,6% per raggiungere 84,7 milioni di tonnellate, delle quali circa la metà destinate alle esportazioni. Numeri questi ultimi che, a detta di Coldiretti, avvalorano l’ipotesi di un trasferimento della materia prima dall’Ucraina verso Mosca.

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Il Paese di Vladimir Putin, nota ancora l’associazione degli agricoltori, “è il primo esportatore mondiale di grano e con il controllo delle scorte alimentari rischia di sconvolgere gli equilibri geopolitici mondiali con Paesi come Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran che acquistano più del 60% del proprio grano da Russia e Ucraina ma anche Libano, Tunisia Yemen, e Libia e Pakistan sono fortemente dipendenti dalle forniture dei due Paesi”.

Quanto all’Europa, sottolinea sempre Coldiretti, “il livello di autosufficienza dell’Unione Europea varia dall’82% per il grano duro destinato alla pasta al 93% per i mais destinato all’alimentazione animale fino al 142% per quello tenero destinato alla panificazione, secondo l’analisi dell’ultimo outlook della Commissione Europea che evidenzia l’importanza di investire sull’agricoltura per ridurre la dipendenza dall’estero e non sottostare ai ricatti alimentari”.

Più grano tenero in Ue

Nell’ultimo outlook di primavera pubblicato dall’Unione Europea, si legge che, a causa dello stop alle importazioni dall’Ucraina seguente al conflitto, l’Ue si attende ora minori importazioni di grano. In questo quadro, l’Ue punta però ad aumentare le esportazioni di cereali del 14% a 49 milioni di tonnellate nel periodo 2021-2022, soprattutto grazie alla maggiore disponibilità di grano tenero. 

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Spostando infine il focus sull’Italia, Coldiretti sostiene sia un Paese deficitario “perché importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame”. “L’Italia – afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – è costretta a importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi dieci anni”.

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